Mercato Municipale di Santa Maria da Feira

Fernando Távora progetta il mercato municipale nel centro storico di Santa Maria da Feira, integrandosi con il contesto e mantenendo un rapporto visivo con il Castello e la Chiesa dei Lóios.
Il progetto si adatta alla morfologia del terreno, definendo un fronte urbano rialzato su una piattaforma che si affaccia sulla strada e sulla quale si aprono delle attività commerciali.

L’impianto è composto da uno spazio  quadrangolare di 50 x 50 metri, ed  è suddiviso in quattro corpi di diversa forma e consistenza volumetrica, poggianti su una piattaforma che si articola in diverse quote, seguendo le caratteristiche del terreno. Al centro un grande spazio vuoto sul quale insiste una fontana, un luogo di incontro all’interno del mercato.

Il programma prevede un settore di esercizi commerciali e settori per la vendita di prodotti alimentari, ovvero carne, pesce, frutta e verdura, oltre ad altre strutture complementari.

Il corpo principale, che fa da transizione tra la strada e l’area del mercato, ospita i negozi e le loro aree di servizio, nonché i dipartimenti veterinario, amministrativo e di ispezione. Un altro corpo ospita le bancarelle di fiori e frutta e lo spazio espositivo. Un altro ancora è costituito dai banchi per la vendita degli ortaggi. Infine, l’ultimo corpo ospita le aree per la vendita di carne e pesce, nonché di animali vivi e le relative aree di servizio.

Tutte queste aree sono state distribuite secondo una metrica definita, come dimostra la pavimentazione in quadrati di 1 x 1 metro, all’intero dei quali sono stati integrati mosaici che indicano i vari prodotti in vendita, sulla base di alcuni schizzi di Álvaro Siza.

La sezione delle coperture rimanda ad una Y, ed è costituita da uno spesso pilastro centrale che sostiene due travi inclinate verso il centro (in direzioni opposte), che a loro volta sorreggono un elemento di protezione solare, una soletta continua lungo i vari supporti. In questo modo il tetto, inclinato, non viene sovraccaricato dal peso dell’acqua piovana, che defluisce direttamente in una grondaia centrale posta sull’asse dei pilastri e diretta ai pluviali.

Per la costruzione è stato utilizzato prevalentemente il cemento armato, nei pilastri e nelle travi, e il granito nelle pareti. Grandi pareti vetrate sono utilizzate per creare le facciate urbane dei negozi, consentendo un maggiore rapporto tra interno ed esterno. Per il rivestimento sono state utilizzate ceramiche blu e bianche. Tutti gli arredi fissi del Mercato, ovvero i banchi per la vendita e i lavabi, sono realizzati rispettivamente in cemento e in granito.

“Una piazza di 50 x 50 metri per un mercato. Un modulo, anch’esso quadrato, di 1 x 1 metro controlla la composizione e ne introduce la geometria.
Vari corpi protettivi sono distribuiti intorno al cortile. Non solo un luogo di scambio di oggetti, ma anche di idee, un invito all’incontro.
Un linguaggio austero, sotto la tutela del Castello. A proposito di questo edificio, Aldo Van Eyck, in occasione del Congresso di Otterlo, ha suggerito di sostituire l’attuale nozione di spazio e tempo con quella più vitale di luogo e occasione.”
Fernando Távora, Porto, 1980

Nuova Facoltà di Economia e Commercio

Il progetto per la Nuova Facoltà di Economia e Commercio della Sapienza Università di Roma viene elaborato da Gaetano Minnucci e dal suo collaboratore e allievo Giuseppe Cigni tra il 1961 e il 1968.

La necessità di spostare ed ampliare la vecchia Facoltà di Economia, allora situata nel palazzetto di Piazza Borghese, è occasione per Minnucci di dimostrare la maturità acquisita negli anni tramite la pratica professionale e una costante attività di ricerca, soprattutto in ambito di tecnologia edilizia. Difatti, quello su via del Castro Laurenziano rappresenta l’ultimo edificio che Minnucci progetta per la Città Universitaria, dopo la sede del Dopolavoro universitario (1932-35) e la Caserma della Legione universitaria (1934).

Il complesso è composto principalmente da tre blocchi: il primo comprende l’ingresso e la presidenza, il secondo le grandi aule ed il terzo gli istituti. I blocchi, messi in comunicazione, funzionano come una lunga piazza coperta dalla forma allungata che segna l’asse principale dell’edificio.

Dalla scalinata obliqua di via del Castro Laurenziano si accede all’ingresso coperto dal primo blocco. Definiscono questo spazio, da un lato il basamento in pietra, dall’altro due setti rastremati che sorreggono l’intero edificio. All’interno del blocco basamentale è collocata la portineria e il corpo scala, che conduce al piano superiore dove trovano spazio gli uffici e la presidenza.

La compressione dell’ingresso coperto, ottenuta attraverso l’abbassamento dell’altezza interna, amplifica l’effetto di monumentalità che si percepisce non appena si entra nel secondo blocco e nell’atrio di ingresso. Qui una bucatura nel solaio dalla forma irregolare mette in comunicazione il piano terra con quello superiore e lascia intravedere la copertura caratterizzata dalle bucature ad oblò, supportata da una struttura in cemento armato. La grande vetrata sul lato sud permette di osservare l’esterno dell’aula più caratteristica dell’edificio: l’aula gradonata Ezio Tarantelli, anche soprannominata Sala Acquario, raggiungibile tramite due rampe di scale che corrono parallele alla sala stessa, mostrandosi in facciata come due volumi indipendenti. La forma della sala, a conchiglia, slanciata verso l’esterno è in contrasto con la sua direzionalità principale, proiettata all’interno. Inoltre, tale dialettica viene rafforzata dalla chiusura del lato corto superiore rivolto verso la città. Sul lato nord si colloca la scala che conduce al primo piano e che separa una seconda e una terza aula, orientate in maniera opposta rispetto all’aula Tarantelli. La quinta prospettica dell’atrio d’ingresso viene completata da una scala curvilinea, anch’essa collegata al primo piano, e una sequenza di quattro pilastri rivestiti in alluminio dei quali uno ancora oggi visibile mentre gli altri nascosti dietro un blocco di servizi aggiunto.

Il terzo blocco, saldato al secondo tramite una scala che raccorda il dislivello, si articola in un corridoio dal quale in senso centrifugo si diramano tre volumi rettangolari (la biblioteca centrale e due aule), che danno vita ad un impianto cruciforme.

L’edificio dimostra una particolare cura nel progetto degli interni. Dall’ingresso principale si possono percorrere scale che, piegandosi, raccordano i vari piani e i dislivelli presenti. Gli effetti di compressione e dilatazione dello spazio si susseguono durante l’attraversamento dell’edificio. Il disegno dei prospetti interni dimostra l’abilità dell’autore nella scelta di accostamenti insoliti dei materiali: gli ingressi alle aule sono segnati da lastre di marmo scuro che, oltre ad incorniciare infissi in legno dettagliatamente progettati, dialogano con il soffitto in cemento armato a vista. Il colore del pavimento in granito cambia per segnare le scale o il perimetro della grande bucatura nel solaio ed evidenzia la superficie da cui si ergono i grandi pilastri rivestiti in lamina d’alluminio scanalata.

Il prospetto principale su via del Castro Laurenziano si sviluppa su tre livelli differenti, ciascuno composto da una fascia di rivestimento in pietra rossa e serramenti in alluminio, e ritmato da un ordine gigante di montanti rivestiti in acciaio, che inquadra le bucature in fasce verticali. I prospetti secondari sono definiti da una rigida maglia ortogonale, composta dai pilastri e da fasce marcapiano, che inquadra gli infissi e il rivestimento in mattoni.

Museo Fellini

Nell’aprile del 2018 il Comune di Rimini ha bandito il concorso per un museo dedicato alla figura di Federico Fellini, con l’obiettivo di creare un polo museale innovativo e immersivo, di ricerca e produzione artistica, in cui far convivere rigore scientifico, emozione e spettacolo. La proposta vincitrice, ribattendo gli obiettivi del bando, prefigura interventi che attraversano il centro storico della città, componendosi di tre elementi: Castel Sismondo, dove saranno allestiti i set felliniani e ospitate le esposizioni temporanee; Palazzo Valloni, concepito come un loft/living space per immergersi nella ricerca e nella visione dell’opera di Fellini; CircAmarcord in Piazza Malatesta, per gli spettacoli temporanei, gli allestimenti e le installazioni interattive.

Se l’unico vero realista è il visionario, allora Federico Fellini merita di essere mostrato attraverso una visione realistica del patrimonio ideale e materiale che ha saputo condividere con il mondo. Il progetto di dedicare un museo al regista nasce, infatti, dall’intenzione di restaurare e interpretare la sua opera come chiave di lettura per collegare tradizione e contemporaneità, mettendo in mostra la bellezza che scaturisce dalle sue idee e dalla sua arte, fonte di ispirazione e ricchezza diffusa.

Il progetto rifugge dalla creazione di un parco a tema e interpreta il mandato del concorso come un sistema di spazi collettivi che accolgono i meccanismi poetici, innestando nello spazio urbano dispositivi per l’immaginario. L’architettura e i suoi allestimenti seguono la stessa strategia: denudare gli spazi esistenti per colonizzarli con le icone felliniane senza entrare in competizione con il linguaggio del Maestro riminese. Pertanto, si parte dalla sobrietà del Moderno per affacciarsi, con pochissime mosse, sul circo felliniano ed evocare, attraverso di esso, un Mondo che in parte coincide con Rimini. Il Museo che la città dedica al suo genio si colloca in un luogo magico che riassume la sua arte, inserendosi nel tessuto urbano e seguendo lo spirito dei film di Fellini attraverso tre parole chiave: stupore, fantasia e divertimento. Il risultato è uno spazio che crea emozioni e intrattenimento, dove l’innovazione, la ricerca e la sperimentazione si sposano con le forme classiche dell’arte.

Il Fellini Museum è un motore di cultura e di arte, che attiva un processo di rigenerazione dell’intera città di Rimini, facendo leva sull’attrazione dell’arte come linguaggio universale e della bellezza come “bene pubblico”, muovendola verso la creazione di una nuova forma di sviluppo per l’intera comunità. Il “dialogo” senza soluzione di continuità che il progetto istituisce tra spazi interni ed esterni, tra museo e città, fa del Fellini Museum un polo di rilancio del territorio, dove la creatività e la fantasia portano la loro contaminazione positiva a Rimini e al suo percorso nel presente e nel futuro. È un luogo in continua evoluzione, dove la ricerca, l’incessante contributo dell’arte e degli artisti, si fondono con l’innovazione e la tecnologia per valorizzare l’eredità poetica felliniana. Un museo che non intende interpretare il cinema di Fellini come un’opera finita da omaggiare, ma piuttosto come una chiave di lettura del “tutto è immaginato”. Questo diceva Fellini e questa è la chiave di lettura del progetto.

Il Comune di Rimini ha affidato a Studio Azzurro la direzione artistica e la realizzazione del progetto multimediale immersivo, con una forte valenza partecipativa per il visitatore; mentre l’architetto Orazio Carpenzano con Tommaso Pallaria, Alessandra Di Giacomo, Fabio Balducci e Paolo Marcoaldi ha realizzato il progetto architettonico e l’allestimento di Castel Sismondo e Palazzo del Fulgor. Il raggruppamento aggiudicatario del concorso vede inoltre Marco Bertozzi e Anna Villari in qualità di curatori ed è rappresentato da Lumière & Co. in qualità di capogruppo.

 

 

 

In April 2018, the Municipality of Rimini announced a competition for a museum dedicated to the figure of Federico Fellini, with the aim of creating an innovative and immersive museum centre for research and artistic production, where scientific rigour, emotion and spectacle coexist. The winning proposal, which responds to the objectives of the call for tenders, envisages interventions that cross the historic centre of the city and consist of three elements: Castel Sismondo, which will host Fellini’s sets and temporary exhibitions; Palazzo Valloni, conceived as a loft/living space to immerse oneself in the research and vision of Fellini’s work; CircAmarcord in Piazza Malatesta, for temporary shows, installations and interactive installations.

 

If the only true realist is the visionary, then Federico Fellini deserves to be shown through a realistic vision of the ideal and material heritage he was able to share with the world. In fact, the project to dedicate a museum to the director stems from the intention to restore and interpret his work as a key to linking tradition and contemporaneity, showcasing the beauty that springs from his ideas and his art, a source of inspiration and widespread wealth.

 

The project avoids the creation of a theme park and interprets the competition brief as a system of collective spaces that house poetic mechanisms, grafting devices for the imaginary into urban space. The architecture and its installations follow the same strategy: to expose existing spaces in order to colonise them with Fellini icons, without competing with the language of the Maestro from Rimini. Thus, from the sobriety of Modernism, with very few movements, it looks out on the Fellini Circus, evoking through it a world that partly coincides with Rimini. The museum that the city has dedicated to his genius is located in a magical place that sums up his art, fits into the urban fabric and follows the spirit of Fellini’s films through three key words: amazement, fantasy and fun. The result is a space that creates excitement and entertainment, where innovation, research and experimentation are combined with classical forms of art.

 

The Fellini Museum has the same role and centrality for Rimini as the Guggenheim has for Bilbao. It is an engine of culture and art that activates a process of regeneration for the entire city, using the appeal of art as a universal language and beauty as a ‘public good’ to create a new form of development for the entire community. The seamless “dialogue” that the project establishes between the inside and the outside, between the museum and the city, makes the Fellini Museum a pole for the revitalisation of the territory, where creativity and imagination bring their positive contamination to Rimini and its journey into the present and the future. It is a place in constant evolution, where research, the constant contribution of art and artists, merge with innovation and technology to enhance Fellini’s poetic legacy. A museum that interprets Fellini’s cinema not as a finished work to be paid homage to, but as a key to understanding that “everything is imagined”. This is what Fellini used to say, and this is the key to interpreting the project.

 

The Municipality of Rimini has entrusted Studio Azzurro with the artistic direction and realisation of the immersive multimedia project with a strong participatory value for the visitor, while architect Orazio Carpenzano, with Tommaso Pallaria, Alessandra Di Giacomo, Fabio Balducci and Paolo Marcoaldi, has realised the architectural project and the layout of Castel Sismondo and Palazzo del Fulgor. The group also includes Marco Bertozzi and Anna Villari as curators and is represented by Lumière & Co. as group leader.

Città Universitaria di Roma

 

La Città Universitaria nasce dall’esigenza di collocare il numero sempre maggiore di studenti in una zona più ampia e accogliente tra il Policlinico Umberto I a nord, il cimitero monumentale del Verano a est, il Palazzo dell’Aeronautica a ovest e il quartiere San Lorenzo a sud. L’area si rivela strategica in quanto prossima a importanti servizi comunitari preesistenti nel tessuto urbano di Roma interessato dall’intervento. La nuova Città Universitaria si colloca vicino al quartiere borghese piazza Bologna e si connette con il quartiere Parioli e Prati per mezzo di Viale Regina Margherita, Viale Liegi, Viale Bruno Buozzi, Viale delle Belle Arti, via Giuseppe Mazzini, Viale Angelico.

La prima stesura dell’impianto urbanistico della Città Universitaria sita in Roma è stata redatta da Marcello Piacentini nel 1932 attraverso la rielaborazione di studi precedenti del 1914 realizzati dal gruppo Giovannoni, Miani, Bottom Bovio. Nella versione definitiva, l’impianto è risolto attraverso uno schema basilicale il cui asse principale congiunge l’ingresso monumentale di Viale delle Scienze con l’edificio del Rettorato. Il progetto ingloba diverse fabbriche preesistenti: le tre più importanti sono posizionate lungo il margine su Viale delle Scienze e ospitano oggi l’Istituto di Fisiologia e Farmacologia, quello di Medicina Legale e la Clinica neuropsichiatrica, mentre tre piccoli edifici collocati sul vertice orientale, utilizzati inizialmente per la direzione lavori, sono successivamente adibite a supporto per la Facoltà di Botanica. La visione di Piacentini trova realizzazione attraverso l’opera dei più influenti e attivi architetti del tempo; tra i nomi più illustri risaltano quelli di Pietro Aschieri, Giuseppe Pagano, Gio Ponti, Giovanni Michelucci, Gaetano Rapisardi, Gaetano Minnucci e Eugenio Montuori. La mancanza di testimonianze grafiche rilevanti contribuisce alla poca chiarezza in merito ai presupposti iniziali del processo progettuale che ha guidato il disegno dell’impianto. Tuttavia testimonianze indirette riferiscono una forte collaborazione in questa fase tra Piacentini e i progettisti incaricati di realizzare successivamente i singoli interventi.

L’impianto combina la logica compositiva dei campus universitari statunitensi, caratterizzati dall’articolazione variegata di ampi spazi aperti verdi per la condivisione e i singoli fabbricati funzionali all’attività didattica (visitati durante il viaggio effettuato pochi anni prima), coniugati con il rigore dell’impianto cruciforme. L’ingresso su Viale delle Scienze, espresso dalla logica monumentale della composizione di Arnaldo Foschini, contrasta con il carattere ben più modesto dell’ingresso posto sul fronte opposto, concepito inizialmente come un percorso all’interno di un parco caratterizzato dalla presenza di piccoli padiglioni. Le difficoltà di adattare le diverse esigenze intercorse durante la fase progettuale hanno consegnato alla storia un progetto poliedrico che armonizza le differenze e le relazioni con il contesto.  A partire da un modulo quadrato di lato 60 metri e dall’interazione con i suoi sottomultipli, il progetto risolve in una relazione paritetica il rapporto tra il vuoto dello spazio aperto e il pieno degli edifici. L’ambito dell’asse centrale e del transetto è ben definito dall’impostazione planimetrica e dal linguaggio dei fronti dei fabbricati tanto da non permettere rilevanti superfetazioni successive a differenza di quanto avvenuto lungo i margini, rimasti irrisolti fin dal progetto originario.

Successivi sviluppi e interventi hanno alterato indelebilmente il carattere originario dell’intervento. Diverse superfetazioni hanno rimodellato le fabbriche e ampliato le superfici coperte destinate ai servizi per gli studenti e la comunità universitaria. Già nel 1985 è visibile un radicale cambiamento dell’assetto generale, rimasto per lo più inalterato ai giorni nostri. I vuoti originariamente arredati a verde e gli spazi di pertinenza hanno pian piano lasciato il campo a nuove strutture, così come il crescente utilizzo dell’automobile ha reso necessario l’inserimento di carreggiate di debite dimensioni e superfici destinate a parcheggio.

Facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche

La Facoltà giuridica e di scienze politiche fa parte del grande complesso d’epoca fascista della Città Universitaria della Sapienza, inaugurato nel 1935. Esso nasce da uno schema a pianta basilicale a transetto e si basa sui principi della simmetria e dell’ordine, scandito da edifici spogli da qualsiasi tipo di decorazione ritenuta superficiale.

I lavori per la Facoltà giuridica ebbero inizio nel 1933 e nel corso degli anni si sono susseguite varie modifiche, sia a livello planimetrico che volumetrico, che mostrano l’edificio nello stato attuale.

Il progetto di Rapisardi si affianca il corpo centrale del Rettorato, creando un organismo unitario dal punto di vista volumetrico

Dal punto di vista planimetrico, Rapisardi lavora in maniera simmetrica rispetto alla Facoltà di Lettere, anch’essa realizzata sotto sua progettazione. La pianta è divisa in due zone, a seconda delle funzioni: una dedicata alla facoltà e agli istituti, un’altra ospitante grandi aule, servite da uno scalone e un grande vestibolo a servizio della notevole massa di studenti.

In 5300 mq, l’edificio ospita due grandi aule da 250 posti, un’aula magna da 750, 10 aule minori a servizio dei vari istituti presenti all’interno della facoltà, ed altri 270 ambienti.

Rapisardi decide di dividere gli ingressi per gestire il flusso di studenti: sul prospetto centrale si trova il monumentale ingresso principale destinato alla facoltà di giurisprudenza; due ingressi riservati agli studi di scienze politiche posti nel cortile; uno per scienze statistiche sul lato posteriore (considerando la minore affluenza).

L’opera di Rapisardi si inserisce  in un contesto culturale italiano ben definito e segue i principi dell’architettura fascista: ne è per esempio testimonianza il sistema strutturale. Si tratta di un’ossatura portante mista di cemento armato e muratura, nascosta ed impreziosita dall’utilizzo del travertino.

Infatti, così come il Rettorato, il  prospetto verso il piazzale della Minerva (quello che più risente della subordinazione del Rettorato) viene interamente rivestito in travertino ed è caratterizzato da grandi bassorilievi di Dioscuri di Corrado Vigni. Esso presenta un ritmo di aperture regolare, che viene interrotto da un improvviso svuotamento di questo grande volume pieno. Qui è collocato l’ingresso principale, a cui si accede tramite una grande scalinata, che conferisce all’edificio la sua incombenza monumentale, tipica dell’architettura fascista.

E’ evidente la differenza  nell’uso dei materiali, meno pregiati nelle parti poste in secondo piano rispetto al piazzale centrale: il resto dell’edificio è infatti intonacato e presenta solo zoccolo e cornici in travertino.

Il progetto di Rapisardi subisce delle modifiche nel tempo: ci sono pervenute testimonianze dell’intervento di Francesco Guidi (1955-1960) ed un’ulteriore operazione negli anni ’80 che ha portato alla soprelevazione di un piano, con struttura prefabbricata, dei due corpi lunghi paralleli all’aula magna, ad opera dell’Ufficio Tecnico.

Istituto di Fisiologia generale

Il progetto dell’Istituto di Fisiologia generale, Psicologia e Antropologia – insieme a quello di Mineralogia, Geologia e Paleontologia – viene commissionato da Marcello Piacentini (1881-1960) a Giovanni Michelucci (1891-1990) proprio negli anni in cui quest’ultimo, al tempo già quarantenne, è impegnato nella progettazione e la successiva realizzazione della Stazione ferroviaria di Firenze S. Maria Novella (1932-1935), incarico, questo, che gli porterà in seguito riconoscimenti importanti e che, come è noto, giunge a seguito di un concorso nazionale, vinto insieme al Gruppo Toscano, composto inoltre da N. Baroni, P. N. Berardi, I. Gamberini, S. Guarnieri e L. Lusanna. Con questi progetti Michelucci introduce in modi diversi elementi di indubbio interesse che puntano a un deciso rinnovamento nelle logiche compositive come nel lessico, collocando l’architetto toscano nella vicenda italiana della prima metà del secolo come uno degli esponenti in assoluto più importanti, anche se le opere della Città Universitaria sono vincolate allo stile “ufficiale” voluto da Piacentini, laddove a Firenze Michelucci è stato, naturalmente, assai più libero di muoversi all’interno di una linea orientata verso l’architettura razionale.

All’interno dell’impianto della Città Universitaria di Roma, l’Istituto di Fisiologia generale, Psicologia e Antropologia è localizzato nelle immediate adiacenze dell’ingresso nord-est e fiancheggia con uno dei suoi lati il limite del complesso su viale Regina Elena. Nella composizione volumetrica del campus universitario l’edificio si pone con la sua facciata convessa verso un grande vuoto – un ampio spazio verde denominato “Pratone” – e si presenta oggi  in stretto rapporto con alcuni edifici del plesso: l’imponente Palazzo del Rettorato (1932-1935) di Piacentini, che volge le spalle al “Pratone”; il Palazzo dedicato ai Servizi Generali, posto frontalmente ed edificato tuttavia in una seconda fase, tra il 1956 e il 1961, sulla stessa area di sedime della Casermetta Universitaria della Milizia, progettata da Gaetano Minnucci e Eugenio Montuori, poi demolita; sul fianco destro l’edificio si relaziona con la sede del Dipartimento di Scienze Politiche, progettato tra il 1932 e il 1935 da Gaetano Rapisardi; alle spalle dell’Istituto di Fisiologia, infine, è il Dipartimento di Scienze Biochimiche, insediato in una costruzione antecedente al progetto piacentiniano.

L’edificio di Michelucci si sviluppa su cinque livelli e presenta un impianto architettonico strutturato in due volumi, così da rispondere in modo razionale alle due distinte articolazioni funzionali richieste dal programma. Il volume sinistro è destinato alla Fisiologia generale, quello di destra all’Antropologia e Psicologia. L’edificio è preceduto da due aiuole disposte simmetricamente ad ambo i lati rispetto all’ingresso principale che, come vedremo, è posto in testa a una scalea, davanti alla quale si trova uno spiazzo, oggi purtroppo occupato da posti auto.

La facciata principale, caratterizzata da un profilo convesso, è definita da un doppio registro. Se il blocco basamentale, rivestito in travertino, raggruppa e delinea i primi due piani dell’edificio insieme alla scala e al “pronao” d’ingresso centrale e rinvia al linguaggio dal tono classicista e monumentale imposto negli anni Trenta dalla cultura architettonica ufficiale del regime, la superficie al di sopra del basamento è rifinita in intonaco color ocra, la cui continuità si interrompe con l’introduzione delle finestre incorniciate da sobrie lastre dello stesso travertino del basamento. L’impaginato della facciata è scandito dal ritmo chiaro e regolare delle aperture rettangolari, oggi vanificato dalla presenza casuale delle unità esterne dei condizionatori, e si conclude con un piano attico di coronamento, marcato da serie di finestre a nastro e arretrato progressivamente dal centro verso le estremità. Il corpo dell’attico sul lato sinistro ha subìto in tempi recenti l’installazione di un anonimo locale tecnico, che non permette più di apprezzare appieno la pulizia formale del disegno originario del prospetto.

L’ingresso principale, preceduto dalla scalea in travertino di diciassette gradini – barriera architettonica attualmente superata grazie all’impianto montascale con pedana realizzato sulla destra –, si stacca così dalla quota stradale e si isola ancora e di nuovo per mezzo di una sorta di pronao, che collega le due entrate ai due volumi architettonici contrapposti. Questi volumi presentano sulle testate brevi ampie superfici vetrate che si fronteggiano e che celano all’interno i due corpi scala, elementi cardinali della distribuzione verticale, corredati dagli impianti elevatori.

L’estensione dell’edificio sull’asse centrale di simmetria, che struttura l’impianto planimetrico, conduce al suggestivo auditorium – l’originaria “Aula A” – re-intitolato nel 2018 con una cerimonia ufficiale a Daniel Bovet, premio Nobel in Medicina e Fisiologia del 1957. La grande aula tutt’oggi conserva gli arredi in legno e la boiserie d’epoca ed esibisce la peculiarità di uno spazio conformato da un salto di quota verso il basso, che ha determinato così una doppia altezza e permesso di realizzare una sorta di anfiteatro interno con cinque ordini di sedute e banchi. Lo spazio centrale, destinato alle lezioni ex cathedra, finisce così per assumere il carattere di una “scena” teatrale, il cui fondale è articolato con un raffinato sistema integrato di boiserie e lavagne, alcune delle quali sono a loro volta inserite nei battenti delle porte collocate al centro della parete.

Restando sempre sull’asse centrale, una volta superato l’Auditorium Bovet, si passa in un ulteriore blocco funzionale con due scale simmetriche e specchiate, oltrepassato il quale il percorso conduce a un corridoio curvo, cadenzato da un lato da una sequenza di panche con schienali in legno, inserite tra le paraste, e dall’altro da una serie di vetrate che campiscono l’intera campata tra un pilastro e l’altro. Questo passaggio, suggestivo e dinamico, è racchiuso in un volume curvo di due piani, che dispone di un ingresso secondario dell’Istituto di Fisiologia mediante una rampa di scale a scendere, e si presenta in pianta come un’appendice che collega i corpi del lato sinistro di fabbrica in un circuito chiuso, generando una piccola corte interna, pensata come un giardino e impreziosita da una fontana dal disegno sobrio di impronta razionalista. Va peraltro ricordato che il “giardino moderno” è un tema che Michelucci sta sperimentando con successo proprio in questi anni, come dimostra il primo premio conseguito alla Mostra del Giardino Italiano di Firenze del 1931.

Il corpo destro dell’edificio, altrettanto autonomo, è assegnato agli Istituti di Antropologia e Psicologia e presenta un peculiare ingresso secondario. Mentre la porta d’ingresso è sormontata da una copertura aggettante con quattro lucernari in vetrocemento e si allinea – chiaramente in coerenza con l’idea progettuale – con l’altezza del rivestimento lapideo che segna il basamento, la scala anch’essa in travertino è da un lato troncata da un paramento stereotomico e dall’altro è curvilinea. La presenza ancora una volta di elementi curvi all’interno di un impianto generale incardinato sull’angolo retto e su geometrie bloccate, esprime la tensione che l’architetto toscano già in questi anni mostra verso organismi meno rigidi e quindi più sciolti e articolati, preannunciando per certi versi le ricerche del dopoguerra che condurranno poi Michelucci a svincolarsi non solo dal classicismo piacentiniano, ma anche dal canone e dall’estetica codificati dai CIAM per sperimentare un’architettura più aperta a suggestioni organiche ed espressioniste.

Casa dello Studente

Il 3 settembre 1930, in una sala del Palazzo del Littorio di Roma, avviene la stipula di una convenzione per la Casa dello Studente al servizio della Città Universitaria di Roma. Contestualmente, è istituito un Consorzio, con l’obbiettivo di gestire tutte le fasi progettuali e di realizzazione della futura Casa dello Studente. Così nel 1932, sotto la direzione generale di Marcello Piacentini, allora coordinatore del progetto della Città Universitaria, viene indetto tra gli studenti delle Facoltà di Architettura e Ingegneria della capitale un concorso di progettazione per lo studentato, ubicato immediatamente al di fuori dal perimetro della Città Universitaria e prospiciente l’odierna via Cesare De Lollis. La commissione giudicatrice, formata dall’allora Rettore Alfredo Rocco insieme al professore Gustavo Giovannoni, al professore Cicconetti, all’architetto Gino Cancellotti e all’ingegnere Ugo Gennari, di fronte a sette proposte, aggiudica il primo premio nel secondo grado concorsuale agli ancora laureandi, ed appena ventenni, Giorgio Calza Bini, Francesco Fariello e Saverio Muratori. L’annuncio dei vincitori avviene l’anno successivo, nell’aprile del 1933, sul quarto numero della rivista “Architettura: rivista del Sindacato nazionale fascista architetti”, con le seguenti motivazioni: «L’architettura risulta chiara e semplice, e l’edificio è nel contempo considerato come un albergo, un collegio». In conclusione, venne elogiata l’attenzione verso le esigenze poste dal bando, doverosamente accolte e sviluppate. Il progetto, pubblicato assieme ai disegni bidimensionali e tridimensionali e a numerose viste prospettiche, viene scrupolosamente descritto all’interno della rivista. Sebbene fosse nell’interesse della suddetta convenzione l’immediata costruzione dell’edificio e nonostante nella pubblicazione dei risultati trasparisse entusiasmo per il progetto selezionato, nel 1934 durante la fase di sviluppo del definitivo vengono attuati drastici tagli e numerose semplificazioni a causa di una diminuzione delle risorse economiche. Ad ogni modo, pur considerando le notevoli misure di ridimensionamento, l’edificio non perde le caratteristiche di funzionalità ed equilibrio presenti nell’idea originale. La variante al progetto propone un ingresso allo studentato tramite uno spazio collettivo all’aperto, direttamente accessibile da via De Lollis. Un corpo di fabbrica distributivo ad un solo piano, parallelo alla strada e compreso tra la mensa e le residenze, accoglie l’utente all’interno di un atrio. A suddetto volume è demandata l’intera distribuzione orizzontale del piano terra, configurata su uno schema a pettine, sul quale si innestano a loro volta due blocchi di alloggi a quattro piani ed un blocco mensa ad un unico livello. La distribuzione interna delle abitazioni è composta da un corridoio centrale che dispone lateralmente le stanze. La differenza di funzione dei diversi corpi è sottolineata da un differente trattamento delle superfici, che intervalla la serialità dei prospetti: intonacate per gli alloggi e rivestite di lastre in travertino per gli spazi comuni. L’edificio rimarrà inalterato per decenni, subendo successive aggiunte di corpi di fabbrica laterali, tra cui un ulteriore blocco residenziale degli anni Sessanta verosimilmente attribuito a Pier Luigi Nervi. Sviluppi successivi dell’area hanno alterato l’impatto visivo con il complesso edilizio originale, modificandone conseguentemente la percezione all’interno del tessuto urbano.

Clinica Ortopedica e Traumatologica

Quando nel 1932 l’architetto Marcello Piacentini riceve l’incarico di disegnare e pianificare il nuovo complesso della Città Universitaria di Roma, affida ad Arnaldo Foschini il compito di progettarne l’ingresso principale.

Foschini realizza un complesso unitario perfettamente simmetrico costituito da due blocchi a pianta rettangolare uniti da un alto porticato monumentale, un propileo che segna l’inizio dell’ampio viale diretto alla piazza principale della Città Universitaria e al Rettorato. Il complesso, semplice e rigoroso, presenta caratteri del moderno rimanendo comunque legato ad un’estetica classica monumentale.

La Clinica Ortopedica e Traumatologica è ospitata nel blocco collocato a sud. Al pari del suo edificio gemello, si sviluppa su pianta rettangolare con una grande corte centrale, che accoglie l’Aula Magna.

Nei cinque piani, di cui uno seminterrato, vengono collocati i vari ambienti, accessibili mediante  un corridoio che si affaccia verso la corte dell’edificio. Nel piano seminterrato trovano collocazione i servizi, i locali tecnici e le sale macchine. Il piano terra accoglie le sale d’attesa, parte dei laboratori e degli uffici e l’Aula Magna. Nei piani superiori sono collocate le sale operatorie, i laboratori e le sale di degenza per i pazienti. Infine il piano attico, che si sviluppa solo su tre lati dell’edificio ed è arretrato rispetto al filo di facciata, ospita i solari.

La razionale e semplice articolazione della pianta si riflette anche sul disegno dei prospetti: le finestre si sviluppano su quattro ordini sovrapposti e con una scansione regolare su tutti e quattro gli alzati.

Le uniche eccezioni sono rappresentate dall’ingresso principale, incorniciato da un ampio portale di travertino e sormontato da tre grandi finestre a doppia altezza e dal  volume semicircolare che caratterizza il prospetto est.

Le facciate sono interamente rivestite di litoceramiche rettangolari giallo ocra, tranne che per i parapetti di copertura, i davanzali e il portale d’ingresso che sono in lastre di travertino.

I lavori di costruzione dell’edificio vengono completati nel 1935 e l’anno successivo l’edificio viene inaugurato.

Il 19 luglio del 1943 i bombardamenti degli alleati su Roma colpiscono anche la Città Universitaria e l’edificio subisce ingenti danni. Ma già nel 1946 si procede con la sua ricostruzione: con l’occasione il progetto originale viene modificato ed ampliato, assumendo l’aspetto attuale.

L’Aula Magna centrale viene ampliata, raggiungendo i 300 posti, e vengono aggiunti due nuovi blocchi, uno a base quadrata di quattro piani sull’angolo sud-est e uno rettangolare di tre piani sull’angolo sud-ovest. Queste due superfetazioni, nonostante abbiano compromesso la simmetricità dell’intero complesso, sono realizzate assecondando mimeticamente la configurazione dell’edificio originale, attraverso l’utilizzo degli stessi materiali e della stessa ritmica di facciata.

Istituto di Matematica

Costruita tra 1932 e 1935 durante il regime fascista, la Scuola di Matematica è stata pianificata e progettata da Gio Ponti (1891-1979) all’interno della Città Universitaria di Sapienza, divenendo una delle più illustri architetture di tale complesso. Dopo aver lavorato essenzialmente a progetti privati – anche industriali – a Milano, questa opera rappresenta il primo incarico di natura pubblica affidata all’architetto lombardo, che gli permette di approdare dal classicismo milanese ad un più maturo modernismo.

Perfettamente inserita nella disposizione centripeta data da Marcello Piacentini alla struttura urbana del nuovo Campus universitario, la Scuola di Matematica crea un dialogo aperto con il suo contesto. Posizionata sulla testata del transetto su cui è impostata la struttura basilicale del piazzale della Minerva, l’edificio accentua la fluidità  tra traiettorie longitudinali e trasversali compresenti nel largo invaso antistante al Rettorato.

Il disegno geometrico di Ponti combina spazi aperti, semiaperti e chiusi. Plasticamente compatto, il suo progetto è composto da tre volumi, due dei quali hanno profilo concavo e il terzo – dove è situata l’entrata principale – contraddistinto da una morfologia parallelepipeda. Da questa configurazione deriva la formazione di un cortile centrale, la cui forma semicircolare media tra la linearità del fronte e l’andamento curvilineo del corpo retrostante, a creare una peculiare morfologia teatrale.

Collaborando con ingegneri, architetti, artigiani e artisti, Ponti è stato capace di creare un mosaico culturale, che si tramuta in valore artistico. Secondo Ponti: “Non è il cemento, non è il legno, non è la pietra, non è l’acciaio, non è il vetro l’elemento più resistente. Il materiale più resistente nell’edilizia è l’arte” [G. PONTI, Amate l’architettura. L’architettura è un cristallo, 1957].

Optando per una struttura sofisticata in cemento armato, l’architetto  infrange la “rigidità matematica” del design grazie ad un gioco di tre volumi differenti e di aperture irregolari, per consentire la penetrabilità dialogica della luce e il raggiungimento di una chiara idea di fluidità dello spazio.

La regolarità geometrica del fronte principale era segnata dalla presenza di un’imponente vetrata (10,58×4,56m), utilizzata da Ponti per conferire alla perentorietà del prospetto una vitalità che prende sostanza nel ricorso al colore e nella narrazione dell’idea dinamica di conoscenza, rappresentata in varie forme e livelli: dal divino all’umano. L’opera, infatti, si componeva di tre soggetti – un angelo, una figura femminile e alcuni discepoli – ritratti in pose plastiche per esaltare il senso di dinamicità. Distrutta sotto i bombardamenti del 1943, è stata sostituita con l’attuale vetrata monocromatica.

Anche con riferimento al materiale, le scelte di Ponti sono molto ponderate. Passando dal travertino, usato sulla facciata principale, alla litoceramica, adottata nel prospetto interno, fino all’intonaco tinteggiato, che caratterizza il resto del complesso, l’architetto conferisce mutevolezza al progetto. Non solo, l’arredamento “custom-made” per l’intera struttura ne rinforza il carattere.

Al fine di adattarsi alle nuove necessità, la Scuola di Matematica è stata oggetto di numerose modifiche tra il 1943 e 2010. Oltre a piccole riparazioni e aggiunte volumetriche, l’edificio ha conosciuto tre fondamentali trasformazioni. La prima, intervenuta tra 1953 e 1967, che ha modificato l’area biblioteca attraverso un processo di “adaptive reuse”. Un secondo intervento significativo, risalente al 1974, è consistito nell’aggiunta di due volumi simmetrici che hanno esteso la superficie curva delle aule. La terza modifica, attuata tra il 1980 e 1989, ha inserito tre scale di sicurezza nel cortile centrale.

La ricchezza progettuale della Città Universitaria risulta dalla ricerca della forma. Nel caso della Scuola di Matematica, il “design” di Ponti crea un gioco tra spazi complessi e spazi funzionali, con particolare attenzione all’originalità dell’edificio e alla sua semplicità, definendo una originale interpretazione dell’architettura di epoca fascista.

Istituto di Farmacologia

Nel 1955 viene bandito un concorso nazionale per la nuova sede dell’Istituto di Farmacologia nella città Universitaria di Roma. Il lotto destinato al nuovo edificio si configura quasi come un’area residuale tra l’Istituto di Botanica, da una parte, e l’Istituto di Medicina Legale dall’altra. Il bando elenca dettagliatamente tutte le necessità funzionali del nuovo edificio ma non esplicita altre indicazioni se non quella di rispettare, con le volumetrie e i materiali utilizzati, il carattere e l’armonia di tutto il complesso della Città Universitaria.

Claudio Dall’Olio e Alfredo Lambertucci partecipano insieme al concorso e lo vincono. Sulla base delle indicazioni del bando, i due propongono un edificio che instaura un rapporto misurato ed armonioso con il contesto della Città Universitaria, discostandosi però dalla monumentalità del progetto piacentiniano, attraverso l’adozione di un linguaggio molto diverso e ad un sapiente uso dei materiali.

I due progettisti sono accomunati dall’interesse verso l’architettura nordico-scandinava la quale, in quello stesso periodo in cui sono impegnati nella progettazione dell’Istituto, diviene oggetto di alcune pubblicazioni sulle più importanti riviste di architettura italiane, che verosimilmente Dall’Olio e Lambertucci conoscono e studiano. L’Istituto di Farmacologia presenta infatti  numerose affinità con alcune delle opere pubblicate in quegli anni su Casabella, nello specifico con il Municipio di Saynatsalo di Alvar Aalto, in merito alla soluzione adottata per gestire gli scarti di quota, all’uso del mattone e alla autonomia volumetrica della biblioteca. Altri temi in comune si riconoscono, ad esempio, anche nella Casa dello studente di Sven Markelius a Stoccolma per molte analogie che riguardano il programma funzionale, gli aspetti spaziali ma anche il dialogo tra superfici piane e superfici curve o, anche qui, l’uso del mattone.

L’edificio è articolato in quattro corpi distinti a seconda delle funzioni, ognuno dei quali possiede la propria identità formale e tipologica; questa scelta è motivata dalle caratteristiche del lotto che presenta una forma piuttosto irregolare e un dislivello di circa sei metri.

Tra il 1956 e il 1957 ai due sarà richiesto di rielaborare in parte il progetto affinché si adatti meglio alle esigenze della didattica. Le modifiche riguardano la revisione dell’altezza del volume di fronte all’edificio di Giuseppe Capponi e il ripensamento dell’Aula Magna.

Così il corpo dei laboratori didattici di cinque piani si allinea parallelamente all’Istituto di Botanica nella parte più stretta del lotto verso Sud-Ovest, si piega poi di circa 45° grazie alla scala cilindrica che funge da cerniera. L’edificio prosegue sviluppandosi con un braccio sottile di tre piani dove si trova la biblioteca e culmina infine con il corpo basso dei laboratori che si affaccia su viale Regina Elena.  Tra questi ultimi due corpi è collocato il volume dell’Aula Magna che funge anch’esso da cerniera: la sua indipendenza formale data dalla sagoma curvilinea, fa sì che questa assuma un ruolo plastico di notevole rilevanza all’interno della composizione. L’aula è avvolta da una parete quasi cieca di mattoni, dove i laterizi sono posati sia orizzontalmente che di taglio. La sua sezione invece è studiata al fine consentire l’ingresso della luce naturale attraverso lucernari dalla forma circolare.

I prospetti sono scanditi orizzontalmente da lunghe finestre a nastro che interrompono la fitta trama di mattoni i quali conferiscono alle facciate un forte carattere materico, ottenuto grazie alla cura nella scelta dei materiali e all’attento studio dei dettagli costruttivi che sono, di fatto, un tema portante di questo progetto. L’Istituto di Farmacologia esprime pienamente la capacità dei suoi due autori di mettere la buona pratica professionale al servizio della ricerca architettonica più raffinata, attraverso un approccio sempre attento alla componente artigianale del progetto.