Istituto di Fisiologia generale

Giovanni Michelucci

, 1932-1935


Il progetto dell’Istituto di Fisiologia generale, Psicologia e Antropologia – insieme a quello di Mineralogia, Geologia e Paleontologia – viene commissionato da Marcello Piacentini (1881-1960) a Giovanni Michelucci (1891-1990) proprio negli anni in cui quest’ultimo, al tempo già quarantenne, è impegnato nella progettazione e la successiva realizzazione della Stazione ferroviaria di Firenze S. Maria Novella (1932-1935), incarico, questo, che gli porterà in seguito riconoscimenti importanti e che, come è noto, giunge a seguito di un concorso nazionale, vinto insieme al Gruppo Toscano, composto inoltre da N. Baroni, P. N. Berardi, I. Gamberini, S. Guarnieri e L. Lusanna. Con questi progetti Michelucci introduce in modi diversi elementi di indubbio interesse che puntano a un deciso rinnovamento nelle logiche compositive come nel lessico, collocando l’architetto toscano nella vicenda italiana della prima metà del secolo come uno degli esponenti in assoluto più importanti, anche se le opere della Città Universitaria sono vincolate allo stile “ufficiale” voluto da Piacentini, laddove a Firenze Michelucci è stato, naturalmente, assai più libero di muoversi all’interno di una linea orientata verso l’architettura razionale.

All’interno dell’impianto della Città Universitaria di Roma, l’Istituto di Fisiologia generale, Psicologia e Antropologia è localizzato nelle immediate adiacenze dell’ingresso nord-est e fiancheggia con uno dei suoi lati il limite del complesso su viale Regina Elena. Nella composizione volumetrica del campus universitario l’edificio si pone con la sua facciata convessa verso un grande vuoto – un ampio spazio verde denominato “Pratone” – e si presenta oggi  in stretto rapporto con alcuni edifici del plesso: l’imponente Palazzo del Rettorato (1932-1935) di Piacentini, che volge le spalle al “Pratone”; il Palazzo dedicato ai Servizi Generali, posto frontalmente ed edificato tuttavia in una seconda fase, tra il 1956 e il 1961, sulla stessa area di sedime della Casermetta Universitaria della Milizia, progettata da Gaetano Minnucci e Eugenio Montuori, poi demolita; sul fianco destro l’edificio si relaziona con la sede del Dipartimento di Scienze Politiche, progettato tra il 1932 e il 1935 da Gaetano Rapisardi; alle spalle dell’Istituto di Fisiologia, infine, è il Dipartimento di Scienze Biochimiche, insediato in una costruzione antecedente al progetto piacentiniano.

L’edificio di Michelucci si sviluppa su cinque livelli e presenta un impianto architettonico strutturato in due volumi, così da rispondere in modo razionale alle due distinte articolazioni funzionali richieste dal programma. Il volume sinistro è destinato alla Fisiologia generale, quello di destra all’Antropologia e Psicologia. L’edificio è preceduto da due aiuole disposte simmetricamente ad ambo i lati rispetto all’ingresso principale che, come vedremo, è posto in testa a una scalea, davanti alla quale si trova uno spiazzo, oggi purtroppo occupato da posti auto.

La facciata principale, caratterizzata da un profilo convesso, è definita da un doppio registro. Se il blocco basamentale, rivestito in travertino, raggruppa e delinea i primi due piani dell’edificio insieme alla scala e al “pronao” d’ingresso centrale e rinvia al linguaggio dal tono classicista e monumentale imposto negli anni Trenta dalla cultura architettonica ufficiale del regime, la superficie al di sopra del basamento è rifinita in intonaco color ocra, la cui continuità si interrompe con l’introduzione delle finestre incorniciate da sobrie lastre dello stesso travertino del basamento. L’impaginato della facciata è scandito dal ritmo chiaro e regolare delle aperture rettangolari, oggi vanificato dalla presenza casuale delle unità esterne dei condizionatori, e si conclude con un piano attico di coronamento, marcato da serie di finestre a nastro e arretrato progressivamente dal centro verso le estremità. Il corpo dell’attico sul lato sinistro ha subìto in tempi recenti l’installazione di un anonimo locale tecnico, che non permette più di apprezzare appieno la pulizia formale del disegno originario del prospetto.

L’ingresso principale, preceduto dalla scalea in travertino di diciassette gradini – barriera architettonica attualmente superata grazie all’impianto montascale con pedana realizzato sulla destra –, si stacca così dalla quota stradale e si isola ancora e di nuovo per mezzo di una sorta di pronao, che collega le due entrate ai due volumi architettonici contrapposti. Questi volumi presentano sulle testate brevi ampie superfici vetrate che si fronteggiano e che celano all’interno i due corpi scala, elementi cardinali della distribuzione verticale, corredati dagli impianti elevatori.

L’estensione dell’edificio sull’asse centrale di simmetria, che struttura l’impianto planimetrico, conduce al suggestivo auditorium – l’originaria “Aula A” – re-intitolato nel 2018 con una cerimonia ufficiale a Daniel Bovet, premio Nobel in Medicina e Fisiologia del 1957. La grande aula tutt’oggi conserva gli arredi in legno e la boiserie d’epoca ed esibisce la peculiarità di uno spazio conformato da un salto di quota verso il basso, che ha determinato così una doppia altezza e permesso di realizzare una sorta di anfiteatro interno con cinque ordini di sedute e banchi. Lo spazio centrale, destinato alle lezioni ex cathedra, finisce così per assumere il carattere di una “scena” teatrale, il cui fondale è articolato con un raffinato sistema integrato di boiserie e lavagne, alcune delle quali sono a loro volta inserite nei battenti delle porte collocate al centro della parete.

Restando sempre sull’asse centrale, una volta superato l’Auditorium Bovet, si passa in un ulteriore blocco funzionale con due scale simmetriche e specchiate, oltrepassato il quale il percorso conduce a un corridoio curvo, cadenzato da un lato da una sequenza di panche con schienali in legno, inserite tra le paraste, e dall’altro da una serie di vetrate che campiscono l’intera campata tra un pilastro e l’altro. Questo passaggio, suggestivo e dinamico, è racchiuso in un volume curvo di due piani, che dispone di un ingresso secondario dell’Istituto di Fisiologia mediante una rampa di scale a scendere, e si presenta in pianta come un’appendice che collega i corpi del lato sinistro di fabbrica in un circuito chiuso, generando una piccola corte interna, pensata come un giardino e impreziosita da una fontana dal disegno sobrio di impronta razionalista. Va peraltro ricordato che il “giardino moderno” è un tema che Michelucci sta sperimentando con successo proprio in questi anni, come dimostra il primo premio conseguito alla Mostra del Giardino Italiano di Firenze del 1931.

Il corpo destro dell’edificio, altrettanto autonomo, è assegnato agli Istituti di Antropologia e Psicologia e presenta un peculiare ingresso secondario. Mentre la porta d’ingresso è sormontata da una copertura aggettante con quattro lucernari in vetrocemento e si allinea – chiaramente in coerenza con l’idea progettuale – con l’altezza del rivestimento lapideo che segna il basamento, la scala anch’essa in travertino è da un lato troncata da un paramento stereotomico e dall’altro è curvilinea. La presenza ancora una volta di elementi curvi all’interno di un impianto generale incardinato sull’angolo retto e su geometrie bloccate, esprime la tensione che l’architetto toscano già in questi anni mostra verso organismi meno rigidi e quindi più sciolti e articolati, preannunciando per certi versi le ricerche del dopoguerra che condurranno poi Michelucci a svincolarsi non solo dal classicismo piacentiniano, ma anche dal canone e dall’estetica codificati dai CIAM per sperimentare un’architettura più aperta a suggestioni organiche ed espressioniste.

Autore Scheda
OLGA STARODUBOVA
Revisori
ArchiDiAP
Dettagli del progetto
Stato dell'opera

Originale

Funzione

Università e campus

Tags

giovanni michelucci, roma, sapienza

Categoria di intervento

ex novo


Assonometria
OLGA STARODUBOVA
© Fondazione Giovanni Michelucci
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Monografie

Belluzzi, Amedeo, Claudia Conforti. Giovanni Michelucci. Catalogo delle opere. Ristampa 1990 Milano: Electa, 1986, ISBN 9788843519712.