Nel 2018, durante la Biennale di Architettura di Venezia, Francesca Torzo presenta il progetto Z33 Casa per le arti contemporanee, all’epoca ancora in costruzione. Con queste parole, la progettista racconta la creazione di uno spazio recintato ma accessibile all’esperienza di sensazioni trasmesse da superfici, proporzioni e materiali. In quest’opera la Torzo manifesta la creatività e la praticità che caratterizzano la sua ricerca, considerata sensibile e poetica. I disegni al tratto e ad acquerello, da lei definiti “organi di mira”, costituiscono gli strumenti principali dei suoi studi.
Z33 è uno spazio di gallerie espositive realizzate come ampliamento dell’antico beghinaggio di Hasselt, cittadina della provincia fiamminga del Limburgo belga, certamente non nota per la cultura prima del 2002. Grazie però all’iniziativa del fondatore della galleria, Jan Boelen, negli ultimi quindici anni è stato predisposto un nuovo programma di arte e design contemporaneo, conosciuto a livello internazionale, che ha restituito all’intera provincia una ricchezza culturale esplosa specialmente in occasione di Manifesta 9.
La nuova casa della cultura Z33 è ospitata nel complesso settecentesco abitato in origine da donne dedite alla cura degli ammalati. Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale hanno distrutto una parte del convento, mentre la restante è stata adibita a centro culturale a partire dal 1958. Nel 2011, un’area del complesso ha perso tale funzione, ritrovata grazie a un concorso indetto per l’ampliamento del centro d’arte adiacente alle residenze dello storico beghinaggio.
Guidata da un team interdisciplinare e in parte locale, Francesca Torzo è intervenuta in maniera netta nel lotto triangolare che custodisce il complesso e delimita la strada di divisione tra il centro della città e il nuovo polo culturale. L’edificio progettato, difatti, chiude i lati di un grande cortile, creando un nuovo recinto murario che protegge la quiete dell’interno dalla confusione dell’esterno, segna il tracciato urbano esistente e indica una personale ricerca sulla materialità della facciata, simboleggiando una nuova forma di introspezione e monumentalità. Il profilo lungo la strada si caratterizza per la lavorazione del mattone, contrapposta alla disposizione disomogenea dei blocchi esistenti, e definisce una facciata lunga 60 metri e alta 12 metri, con un solo giunto di dilatazione in corrispondenza della piegatura che distacca i due diversi materiali. I nuovi laterizi, di cui 34.944 sono fatti a mano, hanno il colore della terra rossa, sembrano appena lavorati e sono posizionati in modo da formare una superficie a losanghe, un nuovo pattern materico in scala reale. Tale composizione si relaziona con la solida e tradizionale facciata, così da perdersi nello spazio e nel tempo e accompagnare il fruitore in una passeggiata lungo la strada. Il disegno degli infissi è pura geometria: all’interno del cortile le finestre sono di maggiore quantità rispetto alla facciata esterna, quasi totalmente cieca e dunque “silenziosa”. Qui le aperture sono pressoché inesistenti, suscitando intima chiusura dello spazio e, al contempo, curiosità a entrare nelle interne e pubbliche parti del recinto. Le stanze della “casa” sono disegnate come scatole giustapposte e sovrapposte, messe in connessione con gli ambienti espositivi del vecchio edificio. Il patio e il vestibolo, così ravvicinati, individuano l’esistenza di una soglia di passaggio che rompe la dicotomia tra spazio pubblico e privato, tra parti aperte e chiuse; così come i restanti locali sono connessi tra loro attraverso prospettive e vedute determinanti la profondità dei percorsi. Il piano terra è strettamente connesso con il livello della strada, collegato a sua volta allo spazio espositivo sollevato di un metro e al giardino interno, predisponendo una continuità con la città rumorosa. Nonostante l’apparente complessità e il salto di scala degli ambienti, le aree espositive sono flessibili al punto da garantire le sensazioni ricercate.
I lavori della Casa per le arti contemporanee sono terminati nel settembre 2019, costituendo, come afferma l’autrice, una nuova “isola in un tessuto urbano”, un recinto vissuto, permeabile, poroso e continuo con la città, che apre una nuova stagione della cultura artistica e architettonica contemporanea.