Frida Escobedo (1979) è un’architetta messicana il cui studio di architettura, fondato a Città del Messico nel 2006, comincia ad acquisire prestigio internazionale proprio a seguito della costruzione del padiglione per la Serpentine Gallery di Londra, nel 2018.
L’esperienza corporea, non soltanto visiva, che il fruitore fa all’interno dello spazio architettonico è ciò che in ogni opera si colloca al centro dell’interesse della progettista e del suo team e costituisce una delle tematiche centrali del padiglione temporaneo realizzato nel Kensington Garden. Le architetture temporanee progettate annualmente per ospitare il programma estivo degli eventi della galleria devono, infatti, costituire un’occasione di sperimentazione materica, morfologica e spaziale, che sappia esprimere la poetica dell’architetto di volta in volta coinvolto nella realizzazione.
Nel 2018, Frida Escobedo è la più giovane architetta a ottenere l’incarico per la progettazione di un Serpentine Pavilion. Alla base del progetto c’è la volontà di fondere la tradizione messicana con la cultura britannica, messa in atto in primis attraverso la scelta dei materiali e delle modalità in cui questi vengono prodotti e accostati gli uni agli altri.
Il padiglione, il cui spazio è articolato in un’ampia corte centrale a cui se ne affiancano due più esigue, presenta due accessi: uno rivolto verso la strada, uno verso la galleria. Entrando dalla strada, il visitatore è condotto attraverso una delle due corti più piccole fino allo spazio aperto centrale, il più spazioso, collegato a sua volta alla seconda corte più piccola, che lo accompagna verso l’uscita di fronte alla Serpentine Gallery. La percezione che si ha dello spazio è dunque quella data da una sequenza composta da compressione, espansione e nuovamente compressione, realizzata attraverso la disposizione di setti che, dividendo il padiglione in tre ambiti, indirizzano il movimento del visitatore attraverso tutta l’esperienza spaziale. L’ispirazione, dichiarata dall’architetta, è il Proun di Lissitzky: strumento di passaggio dall’arte all’architettura, permette di leggere, nel piano e nello spazio, tanto i singoli elementi, dotati ognuno di una propria valenza segnica ed espressiva, quanto la sintesi compositiva di tutte le parti insieme.
Allo stesso modo, nel padiglione, lo spazio può essere inteso sia come una somma di frammenti, sia come un unicum inscindibile. In alcuni momenti vengono percepite linee, piani, diagonali, in altri emergono gli spazi in quanto tali, talvolta intimi, talvolta collettivi.
La corte centrale, figura architettonica fortemente caratterizzante le realizzazioni di matrice messicana, costituisce il cuore del padiglione. Anche il pattern utilizzato per la realizzazione dei muri perimetrali ricorda un tipico muro della tradizione messicana: la celosia, parete di chiusura forata, capace di mettere in relazione visiva interno ed esterno, usata per filtrare la luce e per regolare la ventilazione. Il recinto perimetrale risulta un reticolo più che un muro. Cinge uno spazio senza negarne il rapporto con l’esterno. A seconda della luce è in grado di diventare più o meno opaco: in alcuni momenti della giornata lo spazio risulta più introverso; in altri, la relazione visiva con l’esterno aumenta considerevolmente. Elemento di filtro del sole e del vento, costituisce in primo luogo uno strumento capace di accrescere o diminuire il livello di privacy.
Il movimento di luci e ombre all’interno del padiglione è enfatizzato e reso dinamico da due elementi riflettenti: la vasca d’acqua a terra, e la superficie dell’intradosso della copertura.
La pianta si sviluppa secondo due direzioni principali: i muri perimetrali sono allineati con quelli della Serpentine Gallery, mentre la corte, all’interno, si dispone secondo la giacitura del Meridiano di Greenwich.
Tutto contribuisce a sottolineare la centralità del tempo come elemento di progetto e di configurazione spaziale insieme. Il tempo è considerato da Frida Escobedo un contenuto da esprimere, a cui dare corpo e forma, attraverso “l’uso inventivo di materiali quotidiani e forme semplici.” E dice, ancora: “Per il Serpentine Pavilion, aggiungiamo come materiali la luce e l’ombra, la riflessione e la rifrazione, trasformando l’edificio in una meridiana che segna il passare del tempo”.