Intorno agli anni Sessanta, nella zona compresa tra la Via Pinciana e il Viale Regina Margherita, iniziò un forte processo di terziarizzazione che ha prodotto negli anni una profonda trasformazione della configurazione del luogo. Numerosi sono oramai gli edifici i occupati da negozi, studi professionali e uffici, e numerosi sono anche gli edifici di nuova costruzione nati appositamente per ospitare tali funzioni.
Tra questi interventi rientra il Palazzo per uffici costruito in Via Po tra il 1960 e il 1964 atto ad ospitare la sede della SIFIR. Il progetto è stato redatto dagli architetti Leo Calini ed Eugenio Montuori con la collaborazione dell’ingegnere Sergio Musmeci (vincitore nel 1961 del Premio INARCH) che ne ha curato la parte strutturale.
L’edificio, che rappresenta uno dei primi esempi di facciata curtain-wall costruiti a Roma, ha una pianta di forma quadrata con lato pari a 22,74 m e si sviluppa su quattro piani più un attico ed un piano terra completamente svuotato ad eccezione della zona d’accesso. Esso ripropone, come ha affermato Giorgio Muratore, “quell’andamento verticale tipico del palazzo romano, riletto secondo i canoni dell’architettura internazionale”. L’idea di base era quella di creare uno spazio interno in cui l’ingombro della struttura fosse il più possibile limitato, così da creare un ambiente totalmente flessibile. Tutto questo è stato ottenuto attraverso l’utilizzo di una struttura portante concentrata in quattro pilastri rastremati in altezza e arretrati di 5 m dal fronte dell’edificio, su cui poggiano solai costituiti da elementi prefabbricati scatolari di forma quadrata di lato pari a 2,44 m e 50 cm di spessore e travature incrociate. Si dà, così, la possibilità di non avere travi in vista che possano condizionare la disposizione delle pareti mobili che dividono i grandi ambienti di ciascun piano. Gli unici due vincoli imposti alla distribuzione degli spazi sono dati dal nucleo dei collegamenti verticali, posizionati al centro dell’edificio ed areati ed illuminati da una piccola chiostrina, e dagli impianti igienici che occupano il retro dell’edificio. La facciata in curtain-wall, con finestre fisse ( l’areazione dell’edificio è completamente artificiale), presenta vetri scherma-sole di color grigio rossastro con infissi in alluminio anodizzato che recuperano i contorni di un volume puro anche attraverso il proseguimento della trama nel vuoto dell’ultimo livello. La forma pura, recuperata attraverso quest’ultimo espediente, sembra essere sospesa grazie alla totale smaterializzazione del piano terra in cui è posizionato soltanto l’ingresso vetrato, che fa apparire il palazzo come un elemento che “levita” da terra. Gli spazi esterni definiscono un giardino ribassato rispetto alla quota stradale che, penetrando all’interno dell’edificio e posizionandosi negli spazi non occupati dall’ingresso, accentua la smaterializzazione del piano terra e permette l’utilizzo del primo piano seminterrato come ambiente di lavoro.