Nel 1955 viene bandito un concorso nazionale per la nuova sede dell’Istituto di Farmacologia nella città Universitaria di Roma. Il lotto destinato al nuovo edificio si configura quasi come un’area residuale tra l’Istituto di Botanica, da una parte, e l’Istituto di Medicina Legale dall’altra. Il bando elenca dettagliatamente tutte le necessità funzionali del nuovo edificio ma non esplicita altre indicazioni se non quella di rispettare, con le volumetrie e i materiali utilizzati, il carattere e l’armonia di tutto il complesso della Città Universitaria.
Claudio Dall’Olio e Alfredo Lambertucci partecipano insieme al concorso e lo vincono. Sulla base delle indicazioni del bando, i due propongono un edificio che instaura un rapporto misurato ed armonioso con il contesto della Città Universitaria, discostandosi però dalla monumentalità del progetto piacentiniano, attraverso l’adozione di un linguaggio molto diverso e ad un sapiente uso dei materiali.
I due progettisti sono accomunati dall’interesse verso l’architettura nordico-scandinava la quale, in quello stesso periodo in cui sono impegnati nella progettazione dell’Istituto, diviene oggetto di alcune pubblicazioni sulle più importanti riviste di architettura italiane, che verosimilmente Dall’Olio e Lambertucci conoscono e studiano. L’Istituto di Farmacologia presenta infatti numerose affinità con alcune delle opere pubblicate in quegli anni su Casabella, nello specifico con il Municipio di Saynatsalo di Alvar Aalto, in merito alla soluzione adottata per gestire gli scarti di quota, all’uso del mattone e alla autonomia volumetrica della biblioteca. Altri temi in comune si riconoscono, ad esempio, anche nella Casa dello studente di Sven Markelius a Stoccolma per molte analogie che riguardano il programma funzionale, gli aspetti spaziali ma anche il dialogo tra superfici piane e superfici curve o, anche qui, l’uso del mattone.
L’edificio è articolato in quattro corpi distinti a seconda delle funzioni, ognuno dei quali possiede la propria identità formale e tipologica; questa scelta è motivata dalle caratteristiche del lotto che presenta una forma piuttosto irregolare e un dislivello di circa sei metri.
Tra il 1956 e il 1957 ai due sarà richiesto di rielaborare in parte il progetto affinché si adatti meglio alle esigenze della didattica. Le modifiche riguardano la revisione dell’altezza del volume di fronte all’edificio di Giuseppe Capponi e il ripensamento dell’Aula Magna.
Così il corpo dei laboratori didattici di cinque piani si allinea parallelamente all’Istituto di Botanica nella parte più stretta del lotto verso Sud-Ovest, si piega poi di circa 45° grazie alla scala cilindrica che funge da cerniera. L’edificio prosegue sviluppandosi con un braccio sottile di tre piani dove si trova la biblioteca e culmina infine con il corpo basso dei laboratori che si affaccia su viale Regina Elena. Tra questi ultimi due corpi è collocato il volume dell’Aula Magna che funge anch’esso da cerniera: la sua indipendenza formale data dalla sagoma curvilinea, fa sì che questa assuma un ruolo plastico di notevole rilevanza all’interno della composizione. L’aula è avvolta da una parete quasi cieca di mattoni, dove i laterizi sono posati sia orizzontalmente che di taglio. La sua sezione invece è studiata al fine consentire l’ingresso della luce naturale attraverso lucernari dalla forma circolare.
I prospetti sono scanditi orizzontalmente da lunghe finestre a nastro che interrompono la fitta trama di mattoni i quali conferiscono alle facciate un forte carattere materico, ottenuto grazie alla cura nella scelta dei materiali e all’attento studio dei dettagli costruttivi che sono, di fatto, un tema portante di questo progetto. L’Istituto di Farmacologia esprime pienamente la capacità dei suoi due autori di mettere la buona pratica professionale al servizio della ricerca architettonica più raffinata, attraverso un approccio sempre attento alla componente artigianale del progetto.