L’immagine è nata da una ricerca di modellazione e rimodellazione di un grande piano che dovesse funzionare in sé e nei suoi rapporti con l’ambiente, come un organismo in grado di vivere di un processo d’interconnessione che procede, come spesso avviene nel nostro territorio, nell’alternanza dialettica tra corrispondenza ai bisogni e offerta di alternative. Contrariamente a quanto si possa pensare uno schema, un tipo o un modello di Interporto si può prestare a più possibilità interpretative. Le cose si complicano quando il territorio che lo accoglie è segnato da una storia importante e da suoli difficili e complessi, quasi al limite dell’inedificabilità. Dunque, il programma insediativo, i livelli di accessibilità in parte garantiti dalla rete infrastrutturale esistente che è annessa ai nuovi tracciati viari dentro e fuori dalla piattaforma logistica; il progetto architettonico e quello dell’ingegneria strutturale ad esso sotteso; le soluzioni disponibili dall’industria della prefabbricazione (per consentire il raggiungimento degli obiettivi economici posti alla base del piano industriale) e non da ultima l’archeologia, con le sue azionipreventive volte a definire, appunto, il “grado di rischio archeologico”, sono quegli elementi che hanno letteralmente regolato la costruzione dell’immagine architettonica operando sulla dislocazione delle figure e sulla loro conformazione all’interno della composizione dell’impianto generale.
La luce ha una grande importanza nel progetto, nel senso che nutre direttamente la forma determinandone la tonalità, la materialità, la tridimensionalità o la piattezza delle superfici; concorre a conferire quella strutturazione che si vuole ottenere come meglio rispondente all’espressione plastica. La chiarezza e la forza della percezione delle grandi coperture dei capannoni, sia all’esterno sia all’interno, non potevano che rigettarsi sul vigore dei significati che l’immagine doveva comunicare, cioè di grandi e sicuri “ripari” per le merci.
E’ questa semplicità, così essenziale, generata dalla complessità, che può a sua volta garantire grande sensibilità compositiva perché un progetto sensibile, vigile e consapevole, è capace di operare azioni creative anche su “forme” elementari. Abbiamo cercato per questo di non confondere il modo di essere della pre-fabbricazione con gli elementi del composto costruttivo, dimostrando che le procedure “formali” dellasemplificazione possono permettere anomalie e che tali “eccezioni” possono avere una certa voce in capitolo, anche solo perché l’impianto dichiara esplicitamente in esse il suo carattere evidente, discernendo con estrema lucidità ciò che si può proficuamente tralasciare proprio per renderle più evidenti (questa è, per esempio, il senso della scelta dei “tetti” dei capannoni). Era questa la strada per avvicinarsi con semplicità, all’effettiva complessità del progetto che i “limiti” della prefabbricazione permettevano di cogliere nelle sue parzialità. Pochi elementi costruttivi ridotti nel sintagma elementare trave/pilastro e nei moduli delle tamponature, ma proprio per questo anche chiari nei propri limiti, e di conseguenza capaci di indicare la direzione in cui lavorare per superarli. Gli elementi costruttivi più importanti si succedono ad intervalli regolari nella ritmica dell’intera orditura del suolo. Sono moduli dunque i segni dominanti, le andature lineari, le forme geometriche e le anomalie, perché si ripetono, mantenendo inalterate le loro dimensioni e queste difatti sono l’unità di misura alla quale sono rapportate le misure di tutti gli elementi in gioco. La doppia dimensione del fronte e della spezzata del tetto, ha poi determinato una sorta di violazione della ‘compiutezza formale’ di un elemento in favore dell’amplificazione di un altro; ha stabilito nuove gerarchie generando una distinzione tra elementi dominanti ed elementi dominati. In sostanza, la distorsione di forma (impressa soprattutto dalle fasce di vincolo archeologico) e di variazioni d’altezza (dovute per esempio alla contiguità con l’aeroporto) ha dato luogo ad una serie di variazioni compositive e di nuovi rapporti formali. L’impianto generale, oltre all’incorporazione del grande tracciato romano, coglie le geometrie ricorsive di quelle labili ma uniche tracce che disegnano la tessitura delle colture e dei canali nell’area orientate est-ovest.
Tale orientamento, su cui prevarrà in ogni senso la dimensione orizzontale, è risultato persino più corrispondente all’ordine viario perimetrale e dunque al sistema dell’accessibilità, ed è divenuto il carattere fondativo che regola l’intero insediamento.
Il taglio obliquo della più importante area di scavo è concepito come spazio aperto, vuoto su cui incidere con materiali naturali le topologie cui direttamente rimandano gli strati indagati, attraverso un concept giocato in chiave iconologica e di risemantizzazione di quanto rinvenuto e “protetto”.
Il progetto ha dunque dialogato con l’archeologia, assumendo le condizioni di vincolo come pre-testo (in senso letterale) non solo per un miglioramento qualitativo degli spazi aperti, ma persino delle volumetrie.
zi aperti, ma persino delle volumetrie.