La casa albero o casa sperimentale progettata da Giuseppe Perugini, Raynaldo Perugini e Uga De Plaisant viene costruita a Fregene alla fine degli anni ‘60.
Si tratta di un progetto sperimentale sia nella forma che nell’uso dei materiali, che rimandano all’architettura brutalista caratterizzata dall’uso del calcestruzzo grezzo in facciata. L’edificio sembra quasi sospeso tra gli alti alberi che la circondano, evocando allo stesso tempo l’archetipo del “nido” come luogo sicuro dove nascondersi, studiare, riprendere le forze. La costruzione, in deciso contrasto con le tradizionali abitazioni circostanti, colpisce per il suo singolare aspetto esteriore, con la tessitura delle travi e dei pilastri a vista che sostengono dei volumi prefabbricati, l’impianto non regolare, come anche il recinto del lotto in cemento con inglobate strisce d’acciaio tinte di rosso che riprendono la forma ricurva del recinto stesso.
Pochi materiali vengono utilizzati per la costruzione: cemento armato, vetro e acciaio. Perugini rifiuta quindi i materiali tradizionali da costruzione e sceglie il calcestruzzo armato, che assolve pienamente la funzione di sostenere/sorreggere i volumi che racchiudono i vari ambienti della casa, disposti in un ordine apparentemente casuale. Alle travi principali sono affiancate delle travi secondarie posizionate sopra e sotto i moduli che supportano il peso di questi attraverso particolari elementi cruciformi in acciaio verniciato di rosso. Le travi principali hanno altezze variabili ed in alcuni punti lo sbalzo di una trave è sorretto da una trave soprastante con degli agganci particolari, anch’essi in acciaio. Gli infissi, dipinti di rosso come tutti gli elementi in ferro della casa, riprendono la composizione generale della casa, reiterando il motivo del cubo, sia in aggetto verso l’esterno sia rientrando all’interno della casa. La scala/passerella, un dettaglio della composizione segnalata con il colore rosso delle ringhiere, conduce all’ingresso della casa e sembra un elemento estraneo, aggiunto alla struttura. È concepita come passerella mobile che si può anche alzare, isolando completamente gli abitanti dal mondo esterno. Le facciate dei volumi presentano anch’esse delle sporgenze e rientranze: in alcuni casi contengono infissi, in altri sono elementi pieni: cubi in conglomerato che modellano plasticamente l’esterno degli alloggi accentuando l’uso del materiale scelto. Caratteristici in facciata sono gli elementi dalla forma arrotondata, veri e propri contenitori di servizi che caratterizzano l’architettura ammorbidendone l’aspetto “squadrato”.
Le funzioni della casa sono racchiuse come già detto nei “gusci” in calcestruzzo che si trovano a quote diverse e prevedono gradini per superare i leggeri dislivelli interni. Anche gli ambienti interni della casa non dissimulano la complessità spaziale che si percepisce dall’esterno, con il salone open-space a doppia altezza e l’articolazione degli infissi che dall’interno accentuano il loro aspetto elaborato. Un’altra scala, a chiocciola e ancorata ai pilastri, questa volta conduce sul tetto e parte dal livello rialzato degli alloggi. Alcuni ambienti sono distribuiti nel parco che circonda la casa, come ad esempio la stanza della meditazione, caratterizzata da una sfera in cemento, o la piscina situata sotto la casa. In quest’opera c’è la volontà di creare un contrasto tra la struttura, con i suoi pilastri che si ergono verso il cielo esprimendo il desiderio di libertà, i gusci appesi che accentuano l’idea di leggerezza della composizione e il materiale grezzo, il calcestruzzo, che allude alla pesantezza.
La casa vuole rappresentare una sintesi di tutte le intenzionalità progettuali della famiglia Perugini. Come ricorda il figlio di Giuseppe, Raynaldo: “Essendo tutti e tre architetti (anche la madre Uga de Plaisant) era un po’ il giocattolo di famiglia, nel momento della realizzazione ognuno di noi proponeva soluzioni e nascevano discussioni…era una sorta di grande laboratorio… immaginatevi un plastico in scala reale! Questa era la casa di Fregene, un plastico al vero in cui ognuno metteva del suo. Una sorta di bottega globale nella quale lavoravamo tutti e per ogni problema c’erano un’infinità di soluzioni possibili. Infatti la cura dei dettagli e la messa a punto di tutte quelle soluzioni che hanno portato alla casa com’è oggi sono stati affrontati nella messa in opera. La particolare caratteristica costruttiva la rende un grande gioco di costruzioni…”.