Casa Di Tella

Clorindo Testa, Luis Hevia Paul e Irene Van der Poll

Arribeños 1310, Buenos Aires, Argentina, 1968-1970


Casa Di Tella, era stata progettata da Clorindo testa e i suoi colleghi alla fine degli anni ‘60. Nonostante l’indiscusso valore artistico del manufatto, i tentativi di Teresa de Anchorena e di Patricio di Stefano di dichiarare il valore patrimoniale dell’opera e le mobilitazioni della Società Centrale degli Architetti di attestarne l’importanza, l’edificio è stato comprato e demolito da una società immobiliare nel 2011 per costruirvi al suo posto un condominio.

La documentazione fotografica e il materiale d’archivio proveniente dall’architetto consentono ancora una descrizione utile a ricostruire la memoria dell’opera e a suscitare nuove riflessioni sull’architetto Testa che nel 2003 è stato insignito della laurea ad honorem dell’Università della Sapienza di Roma.

La realizzazione risale al 1968, quando l’architetto italo-americano Clorindo Testa e i colleghi Luis Hevia Paul e Irene Van der Poll, erano stati incaricati di progettare una residenza nel ricco quartiere di Belgrano a Buenos Aires, dal collezionista d’arte e mecenate Guido di Tella.

Le dimensioni tipiche della casa coloniale argentina, larga 8.66 m – la chorizo stretta e lunga – erano state in questo caso raddoppiate. La larghezza di 20 m del lotto aveva dato la possibilità di riprendere l’archetipo della casa romana per intero, dando ampio respiro ai cortili interni che nella versione coloniale erano stati dimezzati a causa delle precise misure della griglia urbana.

Da una prima lettura emerge come a fare da protagonista nel progetto siano stati da una parte la libertà della pianta e dall’altra l’uso sapiente delle difformità del suolo. Un sistema complesso di rampe e di scale definiva un unico piano scomposto su diversi livelli. Dalla quota 0 del piano strada si arrivava a quella di un +1,50 m in corrispondenza del centro dell’area. La scelta di rispettare la particolare orografia del terreno aveva consentito di sfruttare le potenzialità espressive del dislivello e di rimandare all’uso articolato di rampe e ponti già presenti nella Biblioteca Nazionale Mariano Moreno.

Al centro della composizione era posta l’area giorno: cuore dell’abitazione sia in quanto sopraelevata rispetto al resto del piano, sia in quanto punto di congiunzione tra le diverse rampe che portavano agli altri ambienti, posti a quote inferiori. Sebbene si trovasse nel mezzo di un lotto molto profondo doveva apparire, grazie alla presenza dei due patii adiacenti, l’ambiente più luminoso. L’uso della luce era stato pensato con particolare cura, distinguendo tra diverse fonti di illuminazione e tipologie di aperture. Dalle foto d’archivio si possono ancora apprezzare: il fascio luminoso zenitale proveniente da un taglio continuo del solaio, le vetrate a tutt’altezza curvilinee attraverso cui lo spazio interno veniva penetrato da quello esterno e le piccole aperture quadrangolari che incorniciavano il contesto nelle stanze da notte.

Entrando dall’ingresso principale, su via Arribenos, ci si trovava direttamente a percorrere una rampa di collegamento all’area giorno affiancata da un volume basso da un lato e da una grata prospiciente lo studio dall’altro. Una sequenza di ambienti diversamente accostati e intersecati tra loro definiva una distribuzione atipica degli spazi quotidiani. L’area notte era stata posizionata nella zona più riservata della casa, al di là del soggiorno, ma più in basso, alla stessa quota dell’ingresso e ulteriormente illuminata da un pozzo di luce. Trovandosi al centro dell’abitazione, doveva essere più semplice comprendere quali fossero i diversi percorsi piuttosto che la geometria definita degli ambienti continuamente mutata nella sua direzionalità. Se da una parte però, la chiarezza della struttura era stata volutamente nascosta, dall’altra era stata data maggiore forza espressiva alla materialità del calcestruzzo armato.

La poliedricità artistica di Testa, che fu al contempo architetto, pittore e scultore, emerge in questo progetto dalla plasticità dei volumi, dall’uso delle linee spezzate, delle diagonali, dei tagli. La sequenza degli spazi, la molteplicità dei percorsi e delle angolazioni, l’accostamento dei pieni ai vuoti, la giustapposizione della luce all’ombra contribuivano a rendere ricco di argomentazioni il dialogo che la dimora intratteneva con l’abitante, rimandando alla forte sperimentalità dell’autore.

Autore Scheda
Elda Arcieri
Revisori
Elda Arcieri
Dettagli del progetto
Stato dell'opera

Demolita

Funzione

Residenze unifamiliari, ville

Tags

Categoria di intervento

ex novo


Committenza

Guido Di Tella

Monografie

(a cura di). Un poeta urbano. Architettura a Valle Giulia, Università degli studi di Roma La sapienza. a cura di Achille M. Ippolito, Francesco Menegatti, Dina Nencini. Palombi, 2003.

Dal Fabbro, Armando. Un poeta urbano. Architettura a Valle Giulia, Università degli studi di Roma La sapienza. Marsilio , 2003.