Cappella della Divina Sapienza

Marcello Piacentini

Piazzale Aldo Moro, Roma, RM, Italia, 1948-1952


Quando viene redatto il piano della nuova Città Universitaria di Roma, all’inizio degli anni ’30, è evidente l’assenza di un edificio per il culto, nonostante la recente firma dei Patti Lateranensi del 1929. Il progetto di una cappella per lo Studium Urbis della capitale sarà infatti elaborato solo circa venti anni dopo (1947), su sollecitazione, e a spese, del Ponteficie Pio XII: era impensabile, per il Vaticano, che la scienza e la sapienza non fossero integrate e dedicate alla fede e alla filosofia cristiana.
La progettazione della cappella viene affidata a Marcello Piacentini, già autore e coordinatore del piano della Città Universitaria, e politicamente riabilitato dopo che la sua vicenda professionale si è intrecciata con quella del fascismo. L’incarico prevede di immaginare un edificio di culto che sia centrale nella vita del campus, “come la cattedrale per la città, la cappella per l’università”, un luogo di ritrovo per i credenti e di dubbio per i lontani. È perciò questione di cruciale importanza l’ubicazione del nuovo edificio all’interno delle geometrie dell’università, il cui baricentro è già occupato dal piazzale della Minerva e dal Rettorato.
Non potendo utilizzare l’area centrale, Piacentini colloca la Cappella in modo da sfruttare uno sfondamento prospettico percepibile proprio dal viale principale, inquadrata dai fianchi austeri degli edifici di Igiene e di Fisica. In precedenza, il luogo prescelto era occupato dal Portichetto progettato da Montuori che viene parzialmente demolito proprio per far posto alla nuova chiesa. L’edificio sorge inoltre in un punto strategico anche rispetto al contesto esterno al perimetro della Città Universitaria, trovandosi in asse con uno degli ingressi secondari al Quadrilatero Piacentiniano, quello di fronte al Ministero dell’Aereonautica.
La Cappella si inserisce così topologicamente e tipologicamente all’interno del sistema di edifici e spazi aperti del complesso, rispetto ai quali ricerca una continuità stilistica. Piacentini prosegue nella sua poetica di semplificazione delle forme classiche, in linea con la convinzione che “non bisogna rompere il nascosto ma ben tenace legame che attraverso tanti secoli aveva inconsapevolmente unito ogni nostra espressione estetica in un’unica, mirabile, armoniosa, successione”. Opera così una sintesi tra la massiva austerità romanica e la sinuosità della linea barocca. La pianta ellittica è contenuta tra due massicci volumi parallelepipedi che ne accentuano l’andamento longitudinale e una grande cupola si imposta sul tamburo pieno e va in contrasto con il pesante attacco a terra, slanciando l’edificio verso il cielo.
I prospetti sono quasi muti: quello principale, aperto verso la città, è un impaginato in cortina di mattoni su cui risalta il grande portale in travertino che inquadra l’accesso alla cappella; due paraste laterali sembra mantengano tesa la facciata. Nei prospetti longitudinali la cortina è ritmata dalle paraste che riflettono la struttura interna; nella partitura imposta da queste si aprono il portale rivolto verso la Città Universitaria, in travertino come quello principale, e tre finestre circolari evidenziate da una ghiera di mattoni e sormontate da archi a tutto sesto in laterizi.
Esternamente i volumi lasciano presagire l’organizzazione interna della Cappella, anche se non è sempre semplice decodificare la distribuzione dello spazio interno: l’attenzione viene infatti assorbita tutta dal grande vano della cupola che porta lo sguardo ad innalzarsi verso la lanterna, principale fonte di luce naturale dell’edificio, per poi riscendere verso la penombra che caratterizza l’interno. Come in altre esperienze precedenti, tra cui la chiesa del Cristo Re sempre a Roma, Piacentini sposta infatti il transetto più verso l’ingresso che verso l’altare, conferendo allo spazio un’enfasi immediata e dando vita ad un movimento quasi barocco.
La pianta si articola dunque in tre spazi principali, il primo molto corto, quasi un nartece interno, un vestibolo che prelude all’aula principale, costretto lateralmente tra due torri che contengono le scale a chiocciola e superiormente dal solaio del matroneo; successivamente, dal vestibolo si sfocia nell’aula ellittica, ampia e ariosa, delimitata dal segno dei pilastri disposti radialmente secondo le direttrici che partono dai fuochi. Questi si innalzano fino all’imposta della cupola e definiscono anche gli spazi periferici del deambulatorio e del matroneo, che si affaccia come una balconata sull’aula. Infine l’abside, coronata da una volta a botte che inquadra un affresco raffigurante l’Eterna Sapienza.
In alzato la chiesa non cerca la verticalità, quanto più un senso di misura e compostezza; è evidente quanto sia compresso il piano terra, dove anche la luce fioca alimenta il senso di immobilità e di riflessione, con il deambulatorio immerso nell’ombra portata dal solaio sovrastante, mente è più aperto il piano del matroneo, che giova anche dell’illuminazione delle finestre circolari. Sopra al perimetro murario, scandito da lesene che culminano in grandi archi a tutto sesto, gira una fascia appena accentuata, oltre ad una passerella per la manutenzione su cui si imposta la calotta inferiore della cupola, leggermente ribassata rispetto a quella esterna per accentuare il senso di raccoglimento.
Sotto all’aula della chiesa vi è una sala impropriamente detta cripta, impostata su un’impianto ellittico delimitato da tozzi pilastri in calcestruzzo, profilati alla maniera di una colonna dorica semplificata: I suddetti pilastri sorreggono un intreccio di travi nervate e leggermente rastremate verso il centro che generano un soffitto a losanghe irregolari. In questo livello interrato doveva essere custodito il sacrario ai militari scomparsi nella Grande Guerra, precedentemente custodito nel Portichetto.
Come sono austere le forme, così sono anche i materiali: se all’esterno vi è una dominanza dei bolognini di tufo interrotti dagli inserti in travertino dei portali, l’interno è prevalentemente realizzato in calcestruzzo intonacato per le strutture verticali mentre la cupola è caratterizzata da stucco dato alla romana.
L’ultima annotazione va fatta al ruolo dell’arte nell’edificio. In sostanziale continuità con tutta la produzione di Piacentini, le opere d’arte, sia scultorea sia pittorica, si inseriscono in spazi pensati appositamente per la loro integrazione. Esse hanno carattere quasi didascalico, in una logica di asservimento dell’arte all’architettura: così si trovano le due sculture dell’esterno nelle nicchie delle pareti, come il grande affresco è incassato nell’abside, a ribadire il concetto dell’Eterna Sapienza che va oltre le questioni storiche e materiali per coincidere con la sublimazione spirituale.

Autore Scheda
Alessandro Di Egidio
Dettagli del progetto
Stato dell'opera

Alterata

Funzione

Chiese

Tags

cappella, città universitaria, marcello piacentini, sapienza

Categoria di intervento

ex novo