Il grande magazzino, tra le opere più note dell’architettura italiana degli anni ’60, viene realizzato tra il 1960-61 nel quartiere umbertino  di piazza Fiume in prossimità delle Mura Aureliane. Il progetto, del 1957, viene affidato ai milanesi Franco Albini e Franca Helg che, attraverso le moderne tecniche dell’acciaio e della prefabbricazione, reinterpretano un nuovo spirito, ereditato nel tempo, attraverso il lavoro e le modalità con cui gli architetti lombardi avevano contribuito alla realizzazione della Roma Barocca. Un primo progetto, caratterizzato da grandi portali e da rivestimento in travertino, con un parcheggio di 2 piani sulla copertura e una grande scala pubblica a sbalzo sulla facciata prospiciente piazza Fiume, viene modificato su richiesta della commissione edilizia cittadina ed evolve nell’attuale blocco chiuso, scandito dagli elementi verticali e orizzontali della gabbia strutturale in acciaio a vista. Il risultato è un parallelepipedo definito dallo scheletro metallico con tamponatura in pannelli di graniglia di granito e marmo rosso arretrati rispetto all’intelaiatura, al cui interno scorrono le canalizzazioni degli impianti. L’opera riprende i toni cromatici dell’edilizia storica e in qualche misura intende emulare il ritmo degli edifici barocchi attraverso l’ uso delle piegature che producono un effetto contrastato e dinamico tra  luce-ombra tale da definire l’aspetto di un masso corrugato e tuttavia bloccato dagli accentuati ricorsi orizzontali della gabbia metallica. I marcapiani avanzano rispetto alla facciata assumendo valore di modanatura accentuato anche dalle successioni di architravi, canali per l’illuminazione, canali di gronda. Tutti elementi metallici che sottolineano l’orizzontalità dell’edificio bilanciata verticalmente dalle piegature dei pannelli di facciata che accolgono le canalizzazioni dell’impianto di condizionamento, i pluviali e i condotti dell’impianto antincendio. Verso la piazza, il prospetto che guarda le Mura Aureliane  ribadisce il dialogo con le suggestioni che provengono dalla storia nell’inserimento di  una fascia centrale vetrata e arretrata rispetto il piano della facciata  che sottolinea il ruolo gerarchico di prospetto principale. All’interno vale lo stesso principio, agli ambienti aperti e privi di caratterizzazione formale,  Albini ed Helg oppongono la forma sinuosa  del  corpo scala elicoidale con struttura portante in acciaio, che collega il primo piano interrato con il 6° piano (mentre le scale mobili collegano il primo piano interrato con il quarto piano fuori terra). La scala sembra staccarsi dalle pareti donando a chi la percorre una sensazione di leggerezza. La scala è un tema ricorrente per Albini  che aspira a rendere questo elemento estremamente leggero, quasi galleggiante nell’aria e, questa sorta di sfida continua contro la gravità, lo porterà verso  veri capolavori strutturali. La Rinascente si relaziona alla tradizione romana lavorando sull’uso creativo della memoria. Oggi la Rinascente di Albini ed Helg raddoppiata e ripetuta  è protagonista di una nuova reinterpretazione della città, in particolare di piazza Venezia, nel collage digitale realizzato dall’architetto Carlo Prati, dal titolo: La Fenice.

Quando vennero inaugurati il 21 dicembre del 1887, i Grandi Magazzini “Alle città d’Italia” nel Palazzo Bocconi riscossero immediatamente un grande successo. Da un punto di vista commerciale, il negozio venne letteralmente preso d’assalto dai clienti (cinquemila solo nella prima giornata!), non essendovi niente di simile per concezione ed organizzazione in tutto il centro Italia. Ma l’edificio suscitò interesse e ammirazione anche dal punto di vista architettonico: la struttura strutturale e compositiva (ispirate ai grandi magazzini parigini tipo Printemps o Le Bon Marché, che andavano tanto di moda all’epoca) facevano ampio uso del vetro e della ghisa, materiali così inusuali nel panorama architettonico romano degli anni ’80 del XIX secolo.
I fratelli Bocconi erano due imprenditori del Nord Italia che avevano già pochi anni prima inaugurato un grande edifico commerciale a Milano (1879), ispirandosi volutamente alla moda d’oltralpe dei nuovi Grandi Magazzini, che rivoluzionarono l’idea del commercio su larga scala e a prezzi fissi richiesto dalla sempre più esigente classe borghese ottocentesca. Per tale motivo, acquistarono un lotto di dimensioni relativamente esigue ma in posizione centralissima, sulla Via del Corso, per la cifra di 900.000 lire (un vero record per l’epoca) ed indissero un concorso di progettazione per il quale posero in realtà numerosi paletti, chiedendo esplicitamente ai concorrenti che l’edificio avesse una pianta più libera possibile, che avesse ampie vetrate espositive su strada e che prendesse a modello i grandi magazzini alla moda della Ville Lumière.
Il concorso del 1885 se lo aggiudicò l’architetto romano Giulio de Angelis, in collaborazione con l’ingegnere Sante Bucciarelli. Il progetto risultò fin dall’inizio monumentale e innovativo. Il de Angelis pensò a un quadrilatero di 25 metri di lato con un’altezza complessiva di cinque piani. Le tendenze decorative dell’epoca furono assecondate attraverso l’adozione di paraste all’esterno e di colonne in ghisa con capitelli decorati all’interno, con motivi floreali via via semplificati a mano a mano che si saliva di piano. All’esterno inoltre, furono eseguite anche altre decorazioni di carattere floreale sulle pareti degli ultimi livelli oltre che medaglioni e decorazioni a forma di vascelli metallici agganciati alla struttura.
Ma la vera innovazione si ha all’interno: per poter disporre di un’ampia e luminosa zona espositiva, tutta la struttura interna poggia su un sistema di otto coppie di colonne in ghisa, che racchiudono un vuoto che si configura come un vero e proprio “pozzo di luce” grazie al lucernario in copertura. Il sistema strutturale in muratura e in ghisa, oltre a costituire una grossa novità nell’ambito architettonico romano, ha permesso di realizzare i lavori in tempi estremamente rapidi (circa due anni). L’edificio fu innovativo anche per la presenza di ascensori a movimentazione idraulica, tecnologia che non era presente in un nessun altro palazzo della Capitale.
Come da esplicite richieste della committenza, i prospetti (tutti e quattro identici) furono organizzati secondo ampie vetrate ad arco, decorate da cornici che richiamavano quel certo monumentalismo di stampo neo-rinascimentale che comunque andava per la maggiore nell’ambiente architettonico romano di fine ottocento.
Inaugurato nel dicembre del 1887 come Magazzini “Alle città d’Italia”, in seguito il Palazzo Bocconi cambiò nome e proprietà (come l’intera catena commerciale di appartenenza, del resto) in “La Rinascente”. Il nome venne suggerito nel 1917 da Gabriele d’Annunzio, come buon auspicio dopo un incendio che danneggiò l’edificio. Il restauro che ne seguì, porto anche a sopraelevare il fabbricato di un piano, scelta infelice che inficiò sulle proporzioni geometriche del progetto originario del de Angelis.
Poco dopo, nel 1920, venne anche aggiunta l’aggraziata pensilina ad opera dell’architetto Pio Piacentini (struttura oggi non più presente).
Rimasto proprietà del Gruppo Rinascente per molto tempo, nel 2010 l’edificio è passato al Gruppo Zara che ha affidato il restauro all’architetto Duccio Grassi, con un progetto eco-sostenibile improntato su uno stile minimalista all’interno e di assoluta conservazione all’esterno (in cui gli unici interventi hanno riguardato le due nuove pensiline sugli ingressi principali e il ripristino della storica scritta “Alle Città d’Italia” al posto dell’insegna del marchio precedente).