Quale sarà la copertura del nostro tempo? È una delle (tante) domande che si poneva Sigfried Giedion (tra il 1941 e il 1954). Il guscio ibrido con bordo ondulato del Palazzetto dello Sport di Vitellozzi e Nervi, che trova forse un importante riferimento di partenza nel Mercato di Algeciras, con copertura a guscio del 1933, di Eduardo Torroja, rappresenta nel 1960 (inaugurazione), una delle risposte (possibili) a questa domanda.
La grande novità sta qui, ora, nella progettazione strutturale, non più limitata al calcolo delle strutture per verifica ma aperta alla sperimentazione sulla forma, rispetto alla quale ancora per Giedion: “ L’ingegnere è in grado di soddisfare i bisogni emotivi non meno di quanto sia capace di risolvere i più intricati problemi pratici” (Giedion,1954/’87:467). Per Argan: “ … le costruzioni di Nervi mirano soprattutto a definire la strutturalità dello spazio-luce … e si manifesta nella sensazione luminosa … tanto che il processo dell’intuizione formale deve muovere dalla sensazione … il limite non è più tra spazio esterno e spazio interno ma tra luce esterna e luce interna” (Argan, 1955:31-32)
È questo, in parte, l’esito del progresso e della ricerca sul cemento armato e in particolare sulla prefabbricazione strutturale, alla fine degli anni Cinquanta, che rimette in discussione i metodi di costruzione e concezione delle grandi strutture da pensare come insiemi di piccole parti e che lo stesso Nervi inventa e produce grazie all’Impresa Nervi e Bartoli, a partire dagli studi sulla geometria di due forme tipo come il capannone e la cupola. Il guscio del Palazzetto di Roma è costituito da 1620 elementi a losanga prefabbricati in ferro cemento. “Un’enorme medusa”, per effetto del guscio ondulato e dei cavalletti ad Y (i “tentacoli”) e un “pantheon schiacciato” il guscio/cupola che tende ad appiattirsi a terra, sono due immagini che Bruno Zevi evoca per descrivere la forza figurativa, plastica e dinamica, del Palazzetto che, grazie alle invenzioni di Nervi, realizza un grande salto nella reinterpretazione formale, tradizionalmente ad anfiteatro, degli impianti sportivi di questo tipo. Nervi, con Vitellozzi, opera infatti uno schiacciamento della visione esterna con l’azzeramento dello “spessore” dell’anfiteatro attraverso la realizzazione del guscio-mantello della “medusa” cui fa da contraltare l’esplosione dello spazio interno prodotta dalla qualità di diffusione e effusione della luce (naturale) che penetra dalle vetrate lungo il perimetro e dall’alto, moltiplicata dalle tessiture strutturali intrecciate, e dallo sprofondare, nel terreno, della cavea (il campo di gioco è posto a 3 mt sotto il piano di campagna e l’accesso del pubblico avviene alla prima quota della galleria).
L’ondulazione del bordo conferisce maggiore rigidezza al guscio e ne sottolinea visivamente l’attacco ai cavalletti (da qui l’ibrido strutturale) che scaricano il peso alla fondazione su due punti, di cui uno alla trave continua ad anello (capace di assorbire la spinta attraverso una catena composta da cavi di precompressione ancorati alla base dei cavalletti). I 36 cavalletti inclinati (secondo la tangente al punto di intersezione con il guscio) funzionano come telai spaziali costituiti da 4 aste (tre della “Y” e una verticale) e sono collegati all’intradosso del guscio mediante una struttura a nervature incrociate (di nuovo l’ibridazione strutturale), che offre, all’interno, un suggestivo effetto ottico (a losanghe allungate) capace di evitare, per Zevi, i violenti effetti chiaroscurali che caratterizzano, all’opposto, i profondi cassettonati del Pantheon.
Il progetto del Palazzetto viene affidato nel 1956 dal CONI all’architetto Annibale Vitellozzi che coinvolgerà Pier Luigi Nervi nella progettazione delle strutture in cemento armato e della copertura di grande luce. Nato quale prototipo di impianto di media grandezza (1954-’55), idoneo allo svolgimento di diverse competizioni sportive ed eventi teatrali e musicali, solo successivamente sarà scelto per ospitare parte delle gare dei Giochi Olimpici di Roma del 1960 (pallacanestro e sollevamento pesi). Ancora oggi è uno dei simboli più rappresentativi di quelle Olimpiadi che produrranno più interventi nel corpo della città, contribuendo alla nascita e diffusione della città moderna, tra questi, la realizzazione del Villaggio Olimpico (1958-’60, Cafiero, Libera, A. Luccichenti, Monaco, Moretti) nella zona compresa tra la grande ansa del Tevere, via Flaminia e i Monti Parioli con gli alloggi per gli atleti (poi residenze INCIS), parte degli impianti sportivi come il Palazzetto e lo Stadio Flaminio (1957-’59, Pier Luigi Nervi con Antonio Nervi) e il viadotto di Corso Francia (1960, Cafiero, Libera, A. Luccichenti, Monaco, Moretti e per le strutture Pier Luigi Nervi con Antonio Nervi). Completata in anni recenti la realizzazione dell’Auditorium Parco della Musica (Renzo Piano, 2002) e del MaXXI (Zaha Hadid, 2010) il Palazzetto, allo stato attuale, si inserisce insieme allo Stadio Flaminio, al centro di un asse (est/ovest) ideale di una contemporanea città della cultura (delle arti, della musica e dello sport) che attraverso la realizzazione del Ponte della Musica si riconnette (nelle intenzioni) al sistema del Foro Italico all’altezza della Casa delle Armi di Luigi Moretti.