Il cinema è collocato nella corte centrale di un isolato posto sul limite del parco della Caffarella, definito da cinque edifici già realizzati dagli stessi Calini e Montuori. L’attenzione progettuale, per un’occasione che ripropone a Libera il tema della grande sala già sperimentato in precedenza (ma questo è l’unico cinema), è qui tutta rivolta alla qualità dello spazio interno.
La splendida sala per 800 spettatori realizza un perfetto accordo tra le diverse esigenze di qualità tecnica e architettonica: ottima visibilità e acustica si coniugano al senso di ampio respiro che l’architettura realizza.
La copertura che avvolge gli spettatori, tutti disposti sulla platea, senza piani di galleria o altri elementi che possano interferire con la sua netta conformazione spaziale, si abbassa notevolmente sul fondo dove è posta la cabina di proiezione e si amplia, gonfiandosi come una vela, verso lo schermo.
Il progetto si concentra sulla ricerca della “forma ideale, necessaria e sufficiente” alla funzione richiesta, come afferma lo stesso Libera nella presentazione dell’edificio. Ogni dettaglio concorre a tale definizione e in questa tensione alla perfezione si realizza l’opera: entrare in questa sala doveva essere l’evento parallelo che si svolgeva prima e dopo la proiezione del film.
Dall’atrio d’ingresso alla quota della strada, si scende per accedere alla sala attraverso una scalinata (l’edificio è in parte interrato) dove incombe il soffitto alto solo tre metri ricoperto da un dipinto di Capogrossi che sembra duplicare lo lo scorrere della folla. Poi la spazialità della sala si apre ampia e luminosa.
Concentrati sulla ricerca della spazialità interna e sulla promenade architettonica dello spettatore, gli autori sembrano poco attenti al rapporto, nel cortile, con gli edifici che vi si affacciano: la copertura, gonfia nel limitato spazio tra le palazzine, incombe. Un sacrificio che andrebbe compensato con la riapertura e il recupero della sala.
Opere d’arte
nella scala di accesso: soffitto dipinto da Capogrossi (oggi coperto)
Dettagli, materiali, colori
Un’opera d’arte definita in ogni dettaglio e nel carattere di ogni finitura, non sperimentabile nella sua potenzialità espressiva.
Così è per le fasce bicolori bianche e verdi, soffice rivestimento che segnava la copertura. La loro forma, il disegno, la tessitura insieme al colore determinavano un particolare effetto prospettico evidente nelle foto d’archivio. Le fasce bianche hanno una dimensione pressoché costante mentre quelle verdi, che emergono per contrasto, si allargano verso il fondo della sala e si assottigliano sino quasi a scomparire verso lo schermo. Lo spazio, per correzione prospettica, si riduce se dallo schermo guardiamo verso il fondo rivelando il semplice trucco, ma per gli ottocento spettatori che dalla platea guardano verso lo schermo, l’ampliarsi della sala si accentua magicamente.
La luce concentrata sul boccascena contribuisce in modo determinante: l’illuminazione radente sulla copertura ne esalta i colori dando forza all’effetto spaziale e illumina di luce indiretta tutta la sala. Simultaneamente la luce concentrata e quasi accecante sullo schermo bianco lo smaterializza dando allo spazio una dimensione infinita. (ab)