Il villino originario, commissionato da Giacomo Alatri all’architetto Vittorio Ballio Morpurgo alla fine degli anni ’20, aveva un impianto ad “L”, con due lati adiacenti alle strade (Via Paisiello e Via Vincenzo Bellini) e gli altri due aperti sul giardino privato, a cui si accedeva direttamente da Via Paisiello. L’edificio era di due piani fuori terra, con attico, abbaini e seminterrato. Nel seminterrato erano disposti i locali caldaia, ripostigli, garage e un piccolo alloggio per il portiere. I due piani fuori terra avevano una struttura abbastanza simile, tolto il fatto che al primo piano erano presenti due grandi logge, poste alle estremità del prospetto su Via Bellini; essi avevano un ampio ingresso che portava a vari salotti e zone pranzo, alle stanze da letto con servizi annessi e ad una zona di servizio con cucina. Lo stile dell’intero manufatto corrispondeva a quelli che erano i principi in voga in quegli anni: nicchie dentro le quali si aprivano finestre, balconi a sporgenza, logge, bugnato in posizione angolare, il tutto in un “lezioso stile barocchetto” (Rossi).
La volontà di sopraelevare di tre piani il villino originale nasce a seguito della variazione del piano particolareggiato di zona. Mario Ridolfi e Mario Fiorentino riducono la preesistenza ad un semplice “basamento” della parte aggiunta, che si caratterizza per un linguaggio in aperta opposizione al villino di Morpurgo, tanto che la volumetria del nuovo edificio deborda nettamente dal vecchio, segnandone i limiti; le murature portanti della preesistenza vengono usate come fondazioni della nuova struttura in cemento armato. Il solo elemento che lega caratterialmente la preesistenza e il nuovo volume, è la netta marcatura delle strutture orizzontali, enfatizzata dalla scelta dei colori, dalla libertà delle pilastrature e da alcune piccole invenzioni di dettaglio.
La sopraelevazione del villino Alatri fu uno dei primi progetti realizzati nel secondo dopoguerra, ed è evidente come alcune scelte formali vogliano simbolicamente rappresentare un segno di netta discontinuità con il recente passato. Allo stesso tempo Ridolfi in quegli anni stava attraversando un processo di revisione, sia linguistica che figurativa, ai limiti della provocazione, in aperto contrasto con le posizioni più accademiche. Questo atteggiamento di Ridolfi impedì alla stessa critica e agli architetti che lo ammiravano per le sue opere precedenti, di cogliere il carattere straordinariamente innovativo e rivoluzionario del villino Alatri.
Il progetto di sopraelevazione comportò un incremento della superficie dell’edificio preesistente, a spese del giardino e dell’attico, che furono sostituiti con tre nuovi piani e con un nuovo attico. La nuova costruzione adotta gli stilemi del Movimento Moderno, ed è caratterizzata da terrazzi che corrono lungo l’intera cornice dell’edificio, dall’uso di ampie superfici vetrate, da pilastri e strutture portanti a vista e dall’eterogeneità e asimmetricità delle facciate. La distribuzione interna prevede un grande corpo scala padronale, che si innesta sul precedente, una scala di servizio e due ascensori che servono tutti i nuovi piani: i primi due sono piuttosto simili, mentre il terzo si sviluppa su due livelli, e al piano superiore si trovano lo studio, una camera da letto e un bagno; a questo stesso piano si trovano anche tre terrazze. Ognuno dei tre piani ospita un appartamento, diviso in due differenti zone: una di servizio, composta da cucina, dispensa, guardaroba, bagno e due camere da letto, e una padronale, composta da un ampio ingresso da cui si accede alla zona pranzo, all’office, ai vari salotti, soggiorni e terrazze, e alla zona notte, suddivisa in tre/quattro camere da letto e tre bagni.