L’edificio di fisica si colloca nella più ampia esperienza della realizzazione della Città Universitaria di Roma, sotto la supervisione dell’architetto Piacentini, il quale nel 1932 affida all’architetto Giuseppe Pagano la progettazione definitiva dell’istituto, realizzato nel 1936. Nello stesso anno vengono pubblicati i disegni originali dall’autore sulla rivista Casabella di cui era redattore.
L’istituto di fisica si imposta lungo l’asse principale, dai Propilei a piazza Minerva, vincolato dalla logica prospettica ingresso-rettorato, configurandosi come uno degli edifici formalmente più semplici della città universitaria, scevro da monumentalismi e da qualsiasi ornamento.
In continuità con la corrente funzionalista del Bauhaus, intendendo l’architettura come un “impegno civile”, Pagano critica le soluzioni progettuali pensate come scisse dal loro contesto ambientale, e al contrario, identifica il legame tra edificio e suo spazio circostante come l’elemento chiave per il raggiungimento della qualità architettonica.
La progettazione è strettamente vincolata alla funzione degli spazi interni come risultato di una scomposizione delle parti, razionalmente concepiti per produrre “un risparmio di spazio, di tempo e di spesa”. La frammentarietà delle funzioni è stata coniugata all’interno di un volume nel suo complesso unitario divisibile macroscopicamente in due parti principali, corrispondenti alla Fisica Superiore e a quella Sperimentale; in particolare a sud-ovest vi è il settore di Fisica superiore, a est la zona per le esercitazioni degli studenti, articolata su due livelli, e la sezione dell’officina meccanica. Questa divisione è sottolineata dalla presenza di due ingressi separati. Il cuore della composizione è costituito dal corpo della “torretta” e ha come punto nodale la corte centrale coperta da un elemento di raccordo su pilotis. La concezione unitaria e l’articolazione funzionale delle parti trovano un compromesso nell’autonomia della pianta e nell’eliminazione della trasparenza e dell’emergenza degli elementi funzionali attraverso il confinamento in volumi autonomi delle distribuzioni verticali, l’unificazione delle aperture e il ricorso ad un unico materiale di rivestimento ad eccezione della zoccolatura e della dinamica pensilina che caratterizza il corpo più alto. La disarticolazione della pianta viene così contraddetta dall’unitarietà dei prospetti.
I corpi di fabbrica in muratura portante sono rivestiti con liste di Litoceramica giallo-arancio, scandite da file regolari di finestre rettangolari. L’apparente semplicità dell’insieme rivela in realtà un accurato studio dei sistemi di chiusura, un meticoloso disegno delle soglie lapidee e della trama di liste, un’oculata scelta dei vetri mirata ad ottenere una buona diffusione della luce. Il travertino riveste lo zoccolo che corre intorno all’edificio e lastrica il piazzale rialzato che si apre davanti all’ingresso principale.
La Facoltà è stata oggetto di diverse superfetazioni, in ordine cronologico riporto le fasi principali:
- Sopraelevazione di un piano di tutto il fronte ovest negli anni 1959-1961
- Chiusura dell’accesso esterno al cortile ed obliterazione delle due passarelle sul lato nord con coperture metalliche ed aggiunta di due gabbiotti in lamiera sul tetto del prospetto ovest nel 1968, uno dei quali è stato smantellato nel 2003.
- Modifiche riguardanti infissi ed aperture dei locali del piano terra che affacciano sul cortile interno e sui lati nord, est e ovest negli anni 1970-1980.
Gli esiti progettuali e realizzativi di quest’ opera vanno collocati all’interno del “recinto” ideologico e politico, controllato dal regime attraverso il filtro del supervisore eletto (Piacentini) che si è districato tra tradizionalismo e innovazione, fini politici e interessi personali.